C’è una bella luna piena nel cielo sopra Lisbona, a chiudere le giornate di Fuso 2015, il festival annuale di videoarte internazionale diretto da Antonio Cámara che si tiene nella capitale portoghese dal 2009. Le proiezioni si svolgono all’aperto, a fine agosto, dalle dieci di sera in poi. Lisbona è ricca di chiostri, cortili, giardini e spazi pubblici – e di musei – e una parte dei luoghi varia di anno in anno: come in questa edizione, con la premiazione nel bel cortile interno del Museu da Marioneta. Fra alberi e arcate, fra le palme del Giardino Botanico, le sculture del Museo di arte contemporanea del Chiado, il grande schermo itinerante del festival (impeccabile qualità di immagini e suoni) inquadra le immagini recenti della competizione portoghese, di serate monografiche e di incontri più mirati, anche di ricognizione storica. Le giornate (25-30 agosto) si inseriscono nel ricchissimo programma di «Lisboa na rua», una vera e propria festa continua, dal 20 agosto al 20 settembre, tutta en plein air, tra concerti di jazz, fado, classica, rassegne cinematografiche (quest’anno proprio incentrate sulla città, dal cinema di finzione al documentario alle immagini amatoriali), letture teatrali, conversazioni; e che include anche l’iniziativa «Flâneur», risultato di un progetto europeo sulle «nuove narrative urbane», con una lettura della città che in questo caso presenta foto e installazioni, in una serie di piazze.

Lisbona esalta le proprie qualità scenografiche, accarezzata dalla brezza serale che arriva alle sue sette colline dal Tago e dall’oceano. Il festival, nonostante un budget esiguo e ogni anno incerto, nonostante la crisi, riesce a crescere, tanto da prolungare in questa edizione le giornate di proiezione e l’arco di appuntamenti anche oltre l’orario serale. Fuso 2015 ha visto infatti una serie di incontri pomeridiani di approfondimento, in modo da creare scambi anche con i vari ospiti stranieri, in dialogo volutamente «informale» con i vari curatori e autori portoghesi. «Fuso files», questo il nome del ciclo di incontri curato da Elsa Aleluia, si è svolto nei locali di Carpe Diem, in un antico palazzo destinato dal Comune ad attività espositive e culturali, e che deve il suo fascino a una mescolanza casuale e insieme sapiente fra il degrado e un abbozzo di restauro, con gli azulejos che appaiono qua e là fra frammenti di muro scrostato.

Si è parlato dell’uso del found footage nella videoarte, documentato anche da molte opere presenti al festival; Lori Zippay di Electronic Arts Intermix (New York) ha illustrato le origini della videoarte nello scenario della controcultura negli States, sia a livello artistico che mediatico, presentando rari documenti degli anni Sessanta (fra cui uno della Bbc, sulle prime distorsioni video di Nam June Paik in una intervista televisiva a Marshall McLuhan); Fernando Aguiar ha presentato un omaggio a Anna Hatherly, recentemente scomparsa, con Revoluçao, un film del 1975 originariamente in Super8, che con un energico e ritmato collage di suoni e immagini restituisce l’entusiasmo e la combattività dei giorni della «rivoluzione dei garofani» il 25 aprile 1974: scritte sui muri, manifesti strappati, frammenti di canzoni e di slogan, di manifestazioni, di gesti, bandiere. Fra documento e sperimentazione, riecheggia la performatività e l’improvvisazione di cui a Fuso si sono avuti altri esempi storici. Come nella serata in cui Isabel Alves ha presentato, accanto a una serie di materiali di e su Ernesto de Sousa, intellettuale, letterato, artista e cineasta lisboeta (al museo Berardo di Lisbona è in corso un’ampia mostra della sua splendida collezione di manifesti politici e culturali) The Magic Sun (SunRa) di Phill Niblock (1968), che appunto con Sousa fu in contatto dalla fine degli anni Settanta. Un corto di 17 minuti ad alto tasso sperimentale in cui la prossimità della macchina da presa alla Sun Ra Arkestra, in un concerto sul tetto di un edificio di New York, la frammentarietà, il ritmo suono-immagine, le elaborazioni visive, i dettagli quasi astratti, l’alto contrasto del bianco e nero compongono un piccolo classico del cinema sperimentale e underground.
Come si vede, per Fuso la videoarte ha un cuore antico, radici che molti non conoscono e che sono, anche, in gran parte da esplorare, nelle connessioni con le avanguardie, le arti contemporanee e il cinema non narrativo.

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Un filo rosso che ha percorso tutto il festival nei colloqui pomeridiani come nelle proiezioni notturne, che hanno consentito agli ospiti stranieri e ai curatori locali di condividere passioni e scoperte. Come la presentazione (da parte di Jean-François Chougnet) del lavoro di Miguel Palma e della sua arte che esplora e ricrea in modo divertito e surreale il fascino dei motori, dei dispositivi telecomandati, di una serie di macchinari. O come la proiezione di una scelta dalla collezione del Frac dell’Ile de France, il Fondo Regionale delle Arti Contemporanee, di cui Xavier Franceschi ha presentato fra l’altro diversi corti (inizio 2000) della serie «Respect the Dead» di Pierre Bismuth: celebri film mainstream che l’autore interrompe non appena c’è un morto, facendo subito scorrere i titoli di coda; scegliendo perlopiù opere in cui il decesso ha luogo nei primi minuti. Una serie che, pur con qualche effetto comico, ha una sua valenza critica, provocatoriamente morale.

Sempre di found footage il video brasiliano presentato da Alison Avila, del 2014: Aquilo que fazemos com as nossas desagraças (Quel che facciamo con le nostre disgrazie) di Arthur Tuoto. Un sorprendente lavoro di 60’ sui moderni mostri, una sorta di Società dello spettacolo di Guy Debord 2.0: la visualizzazione grafica sullo schermo nero (in portoghese) di un dialogo (in voce over in francese) fra Jean-Luc Godard e Anne-Marie Miéville, tratto da France/tour/détour/deux/enfants (1977) è intessuta di immagini, elaborazioni sonore e frammenti di musica «alla Godard». Fra cinema, tv, filmati amatoriali, spezzoni da telecamere di sorveglianza, sfocature, variazioni di quadro. Un film-saggio (o video-saggio) forte sul nostro tempo, in cui la partitura visiva aggiorna e «apre» le geometrie di un dialogo fin troppo impeccabile, attualizzandolo e dandogli un respiro di felice ambiguità. Un lavoro assai interessante, questo di Tuoto, che ha vinto in Brasile il premio «Cine Esquema Novo» 2014.

Impegno artistico-politico anche nella serata e nell’incontro con Françoise Parfait, che ha illustrato metodi e opere di «Suspended Spaces», un programma collettivo e itinerante che ha come oggetto i luoghi sospesi appunto, i luoghi incerti, le grandi architetture moderniste rimaste inutilizzate, ma anche pezzi di città resi inaccessibili o «scomparsi» in seguito a guerre e conflitti. Il progetto, necessariamente interdisciplinare – fra geopolitica, architettura, arte, urbanistica – si è svolto finora a Cipro, in Libano, in Brasile, e vede anche il sostegno di alcune università francesi; si dipana fra convegni, pubblicazioni e residenze di artisti che «leggono» e interpretano, ognuno a suo modo, queste situazioni, con fotografie, animazioni, video. Paula López Zambrano, messicana, ha presentato un programma non solo nazionale ( e accompagnato anche da due performance) sulla violenza, con lavori metaforici ma anche con la cruda registrazione audio, messa in immagini (ancora una volta la grafia che scorre sullo schermo nero) delle frasi burocratiche e agghiaccianti che accompagnano un’esecuzione sulla sedia elettrica (July the Twelfth 1984, di Jordan Baseman, 13’, 2003-2014). Una sottolineatura del potere dell’audio che molti lavori di Fuso hanno efficacemente proposto.