Un post sintetico sui loro canali social. Coordinate geografiche, che conducono ai bordi di un parcheggio su Oakwood Avenue, Los Angeles, a mezzo miglio dal vecchio appartamento di Kurt Cobain. Lì c’è uno schermo elettronico su cui campeggia una grafica dal vago retrogusto new wave. Due occhi, una scritta in piccolo, This is our time… we devour the days ahead. Così i Deftones avevano lanciato a fine agosto il countdown — conclusosi il 25 settembre — per l’uscita del loro nono album in studio, Ohms (Reprise Records).

Altre coordinate, tutte sonore, si diramano al suo interno, riportandoci inequivocabilmente al centro di quel territorio — vogliamo chiamarlo ancora nu metal? — di cui la band californiana stabilisce i confini sin dalla metà degli anni Novanta. Dopo la frettolosa sperimentazione di Gore (2016), infatti, i Deftones tornano a esprimersi nel loro linguaggio d’elezione. Se gli Ohms del titolo alludono alla resistenza elettrica, il mantra iniziale «I finally achieve balance» ci parla di equilibrio.

QUELLO SONORO viene raggiunto attraverso un ritrovato contrappeso tra le visioni del chitarrista Steve Carpenter e quelle del frontman Chino Moreno, che sostiene: «La nostra band ha lo yin e lo yang. In quanto persone, nella musica che facciamo e nei testi che scrivo c’è sempre questa giustapposizione e questa è la bellezza di ciò che abbiamo creato». Ago della bilancia, il produttore Terry Date, tornato con la band dopo averla accompagnata dall’esordio (Adrenaline, 1995) fino a Eros, progetto abbandonato nel 2008 dopo l’incidente che avrebbe portato, cinque anni dopo, alla morte del bassista Chi Cheng. Un ritorno catartico, sintomo di un altro equilibrio ben più profondo, che la band pare finalmente aver conseguito.

Furore e quiete. Proporzione che è norma interna delle dieci tracce: dall’apripista Genesis — la cui morbida introduzione prelude alla scarica elettrica di Carpenter e agli scream di Moreno — a Pompeji, autentica metal-ballad. Da Ceremony a Urantia, a Radiant City, eretta sulle fondamenta di un poderoso basso distorto. E poi Headless, ulteriore concessione melodica, prima del gran finale Ohms.

UN EQUILIBRIO che, in fin dei conti, è da sempre cifra stilistica distintiva dei Deftones nei confronti degli altri rappresentanti dell’area nu metal, ed essi ne sono perfettamente coscienti. Una consapevolezza che iscrive già quest’album tra i loro classici.