Matteo Renzi? «Il mandante di ventisei coltellate», «uno che preferisce sedersi a cena con le lobby», uno che «non ama Roma», «su di lui avevo grandi aspettative quando pronunciava parole sulla liberalizzazione, o sulla scelta delle persone in base ai curricula e i risultati. O su un’informazione radiotv tipo Bbc. Ora sceglie il direttore generale Rai e i direttori delle reti. Se l’avesse fatto Berlusconi molti giornali si sarebbero ribellati». Il suo governo? «Non è di centrosinistra». Il Pd? «Se avessi seguito i suoi consigli forse sarei in una cella di isolamento». Il commissario romano Matteo Orfini? «Mi ricorda una canzone di Elton John, parla di un insetto che distrugge da solo tutto un campo». L’ex vicesindaco Causi? Gli ha consigliato di lasciare Roma e partire per gli Usa così «per irreperibilità» il governo avrebbe nominato un commissario. Il vicesegretario Guerini? «Mi sollecitò a nominare Mirko Coratti vicesindaco», poi Coratti fu arrestato. Causi nega, Guerini nega, Orfini si rifiuta di «fare recensioni di romanzi fantasy», dal Pd i commenti sono pochi e contro «le bugie e i rancori».
E invece no, giura Ignazio Marino, «il mio libro non è una vendetta». Anzi, iniziato a scrivere a metà 2015, sarebbe stato nelle intenzioni un tranquillo «libro di mezzo mandato».

Senonché poi è arrivato lo tsunami: Matteo Renzi da premier amico diventa nemico, il Pd romano un covo di vipere, la giunta precipita (causa dimissioni dei consiglieri del Pd più alcuni del centrodestra). E così «Un marziano a Roma» (in uscita oggi per Feltrinelli, 300 pagine inclusa mappa topografica con le 21 azioni mandate a segno durante la sindacatura) si è trasformato in corso d’opera in un cannoneggiamento al suo ex partito, ai suoi ex alleati, ai suoi ex assessori, ex consiglieri, ex amici. Insomma è diventata l’«arma fine di mondo», il Marino contro tutti, andato in scena ieri a Roma in una conferenza-fiume alla Stampa estera («perché voi non vi rendete conto che al di là del chiacchiericcio delle nostre cronache», battuta di sapore dalemiano, «Roma è osservata con amore da tutto il pianeta»).

Oggi si replica alla Libreria Feltrinelli di Via Appia Nuova davanti a un pubblico di cittadini. Ai quali auguriamo che vada meglio che ai cronisti. Perché Marino, che pure si concede generosamente, ad alcune domande non risponde. Si candida a sindaco? «Sono qui per parlare del mio libro». È un programma politico? «Voi avete visto i programmi degli altri candidati? Io no, perché non ci sono». È ancora iscritto al Pd? «Ho la tessera del 2015, ma per il 2016 c’è tempo fino a fine anno». Deciderà l’eventuale corsa da solo o con gli esponenti della sinistra con cui si è incontrato nelle scorse settimane? Silenzio. Per ora promuove il suo libro. E al manifesto che gli chiede come mai nel luglio 2015 ha obbedito a un ordine di Renzi, oggi nemico, che gli intimava il rimpasto di giunta e la cacciata della sinistra dall’esecutivo, l’ex sindaco ammette: «È vero, mi sono fidato dei consigli di Orfini che sosteneva di averne discusso con il capo del governo. Io ho condiviso questa scelta e me ne assumo la responsabilità, non mi aspettavo che alcuni degli assessori nominati fossero arrivati lì con il compito di guastatori».
Molte delle «rivelazioni» del libro in realtà erano state già anticipate. Il caso di Luca Odevaine, già vicecapogabinetto di Veltroni, poi agli arresti per Mafia Capitale, allontanato per sua iniziativa. La polemica con palazzinari «non contenti» delle sue revoche alle costruzioni. Il piano del Villaggio Olimpico di Tor Vergata, voluto da Malagò, che il sindaco si trova già preparato. Su altre questioni fa accuse generiche, come quando racconta dell’enorme disavanzo della città trovato all’arrivo in Campidoglio, 816 milioni accumulati dalle «giunte precedenti»: ma quali? La corruzione di Roma: «Basta guardare certe strade, il bitume appoggiato sul sottofondo, chi l’ha fatto ha rubato soldi ai romani». Verissimo, ma chi è? Poi c’è la vicenda dei suoi scontrini, in mano alla magistratura: «Non ho nulla di più da spiegare. Quando verrò chiamato spiegherò questi 12 mila euro che mi vengono imputati. Mi piacerebbe che la stessa trasparenza venisse chiesta al capo del governo che ha speso in un anno come presidente della provincia di Firenze 600 mila euro in spese di rappresentanza».

L’unico ’graziato’ è «il Santo Padre». Per Marino le famose parole sulla visita a Filadelfia («Non l’ho invitato io»), sono state strumentalizzate. «Alcuni hanno voluto interpretarle come uno sciogliere i cani contro Marino per potersi liberare di questa figura scomoda». Stavolta l’ex sindaco si è fatto furbo ed ha fatto leggere il capitolo del libro in cui ricostruisce la vicenda al Papa in persona, ricevendone – rivela – l’imprimatur.

L’ex sindaco si imputa errori? Solo peccati di buona fede ed ingenuità: «Non ho spiegato bene quello che ho fatto in 28 mesi di sindacatura». «Quando iniziò la vicenda di Mafia Capitale ed era evidente che né io né la mia giunta avevamo nulla a che fare con quel mondo, l’allora vicesindaco Luigi Nieri mi disse ’perché non ti dimetti adesso, verrai rieletto a furor di popolo nella primavera 2015’. Io ho ragionato come avrei fatto in sala operatoria: ero vicino a chiudere per la prima volta il bilancio preventivo del 2015 entro il 2014 e dovevo buttare la città in una campagna elettorale solo perché io ne avrei avuto un grande vantaggio?. Ho scelto di chiudere il bilancio». E con il bilancio ha chiuso con il comune. Fino a sua comunicazione contraria, almeno.