La partenza del governo di Majdan è stata negativa, marcata da erroracci tattici. Il blocco nazionalista che ha preso il potere a Kiev – il governo auto-proclamato, come lo chiama la stampa di Mosca – ha cercato di mettere il sigillo alla sua vittoria, facilitata dalla resa di Yanukovich. Una cosa politicamente anche legittima. Ma ha messo, in tutto questo, una foga eccessiva. Evitando tra l’altro di frenare gli impulsi più radicali della piazza.
È il caso della furia iconoclasta, evidente nell’abbattimento delle statue di Lenin disseminate nelle regioni occidentali del paese, il serbatoio della rivoluzione. Nell’immaginario del nazionalismo ucraino quei bestioni di pietra o bronzo erano il simbolo del dominio di Mosca, a prescindere dalle stagioni politiche e dalle ere ideologiche. Il governo non ha arginato queste iniziative, che hanno permesso a Mosca di dare impulso alla tesi propagandata in modo tambureggiante da settimane, secondo cui il movimento della Majdan è un’accozzaglia di estremisti pronti a scagliarsi contro i russi d’Ucraina. Ancora più inopportuna è stata la decisione di azzerare la legge con cui Yanukovich aveva innalzato il russo a lingua ufficiale nelle regioni – circa la metà di quelle del paese – in cui è parlato da almeno il 10% della popolazione. La cosa ha spinto sulla difensiva la popolazione russofona del paese, dando a Putin ottimi pretesti in vista dell’offensiva in Crimea e della tattica, portata avanti senza ripiegamenti, di spaccare il paese.
C’è un ulteriore passo falso, da parte del nuovo potere di Kiev. L’Ue, nell’intento di evitare che le tensioni regionali si inasprissero, aveva auspicato che il nuovo governo fosse il quanto più possibile inclusivo, politicamente e a livello regionale. È vero che i deputati dell’est e del sud, le aree più legate all’influenza russa, non sono stati al gioco. Ma al tempo stesso balza agli occhi il fatto che l’esecutivo, benché non siano presenti figure particolarmente divisive, annota l’Istituto polacco per gli affari internazionali, think tank di Varsavia, non è certo un governo a trazione tecnica, come forse ci si sarebbe dovuto aspettare. Piuttosto, è un riflesso dell’idea nazionale-nazionalista alla base della rivoluzione. Forte è il peso di Batkivschyna, il partito di Yulia Tymoshenko (il primo ministro Arseniy Yatseniuk è il suo braccio destro). C’è qualche innesto di Svoboda e c’è anche chi ha preso parte direttamente al movimento di piazza, sebbene restando a distanza dall’estrema destra. Ora, il governo della Maidan e il movimento che gli dà linfa si sono accorti che forse, con l’aria che tira nel paese, c’è bisogno di qualche passo indietro. Da qui la decisione del presidente ad interim Oleksandr Turchynov, fedelissimo della Tymoshenko, di non firmare la legge che azzera il provvedimento sulla lingua russa a suo tempo promosso da Yanukovich, non senza propositi politici. Turchynov, seguendo anche le indicazioni arrivate da Bruxelles, che aveva sottolineato la necessità di garantire i diritti delle minoranze etniche e linguistiche, ha annunciato la nascita di un gruppo di esperti incaricato di redigere una nuova legge, che tuteli a dovere il pluralismo culturale.
Sempre sul fronte dell’idioma russo, c’è da segnalare l’iniziativa presa nei giorni scorsi dalla città di Leopoli, bastione del nazionalismo. Il 26 febbraio, nell’arco dell’intera giornata, i residenti hanno deciso di passare dall’ucraino (la lingua parlata nella quotidianità) al russo, nel tentativo, appoggiato dal sindaco della città Andriy Sadovyi, di sanare le fratture con l’altro segmento del paese. A cosa è servito tutto questo? A niente. Quanto alle città dell’est e a Odessa, nel sud, la situazione resta incandescente. Ma questo non toglie che la retromarcia sulla lingua, benché non così decisiva in questa partita, sia stata tardiva.
Parallelamente, il governo della Majdan ha cercato di coinvolgere gli oligarchi: una mossa che avrebbe la sua logica, dato che molti dei tycoon sono propensi a mantenere buoni rapporti con Mosca. Il problema, però, è che i due oligarchi nominati governatori delle regioni di Dnepropetrovsk e Donetsk, Igor Kolomoysky e Sergei Taruta sono ritenuti vicini al potere di Majdan. Kolomoysky, banchiere di origini ebraiche, ha sostenuto in passato la Tymoshenko. Mentre di Taruta si dice che fosse vicino all’ex presidente Viktor Yushchenko.