Dopo giorni di botta e risposta sempre più violenti, è difficile evitare la sensazione che il conflitto tra Italia e Commissione europea sia ormai sfuggito di mano agli stessi contendenti, e inizi a mostrare aspetti davvero pericolosi. Sul fronte dello scambio di contumelie, ieri è stata la giornata peggiore. Ad aprire il fuoco è stato Renzi con un tweet tutt’altro che conciliante. C’è chi «forse impaurito da questo nuovo protagonismo italiano», vorrebbe «averci più deboli e marginali come in passato». Non ci sperassero. «Se ne facciano una ragione: l’Italia è tornata, più solida e ambiziosa».

Ma stavolta la reazione di Bruxelles è durissima. Juncker, il presidente della Commissione, è a un passo dall’insulto: «Alcuni governi sono veloci nell’attaccare Bruxelles. Ma si guardino allo specchio». C’è ancora un residuo di prudenza che invece Manfred Weber, teutonico presidente del Ppe, mette da parte: «Renzi sta mettendo a repentaglio la credibilità dell’Europa a vantaggio del populismo». Segue spiegazione: «Quando l’Italia non è disposta ad aiutare la Turchia se non in cambio di una contropartita, ciò va svantaggio dell’Europa, della sua forza e della sua credibilità». Poi il popolare si lancia in uno sperticato encomio della Mogherini, e dati i rapporti al minimo storico tra il premier italiano e Lady Pesc è anche questo uno schiaffone freddamente calibrato.

Passa pochissimo prima che arrivi la replica della capogruppo Pd al Parlamento europeo Patrizia Toia: «La credibilità dell’Europa la ha messa a rischio chi, come Weber e i suoi amici, ha voluto un’austerità ideologica che ha aumentato le diseguaglianze».

Non sono solo parole. Il governo italiano ha deciso di sostituire l’ambasciatore a Bruxelles Stefano Sannino, spostandolo probabilmente a Madrid. Al suo posto subentrerà l’attuale viceministro allo Sviluppo Carlo Calenda. La decisione, che dovrebbe essere formalizzata oggi, è stata presa ieri. Meno di 24 ore dopo gli elogi di Juncker, che aveva definito Sannino «il migliore a Bruxelles». Significa che Renzi vuole che nel cuore dell’Europa ci siano persone delle quali si possa fidare completamente e non vicine ai vertici Ue. E ciò a sua volta indica che il premier italiano non prevede affatto che la tempesta si riveli passeggera.

A vibrare le mazzate più pesanti è il sottosegretario agli Affari europei Sandro Gozi, quasi un alter ego di Renzi: «L’Europa arriva tardi e male sulla crisi finanziaria e migratoria. Poi però ha un atteggiamento punitivo nei confronti di alcuni Paesi». E sul pomo turco della discordia: «I tre miliardi per la Turchia devono essere reperiti nel bilancio della Ue e sono necessari meccanismi di verifica che quei fondi servano davvero ai profughi siriani».

Nonostante l’impennata della tensione, Renzi non ha dunque alcuna intenzione di cedere, né sul piano della sostanza né su quello, per Juncker fondamentale, della forma. Non è nel suo carattere e comunque non può farlo. Il solo modo per fronteggiare l’ondata crescente anti-europea, che nelle urne minaccia di penalizzare lui e il suo partito, è farsene interprete, però avvertendo l’Europa, come fa Gozi, che senza il Pd le porte per i «veri» antieuropei sarebbero spalancate. Soprattutto, al premier sono arrivati segnali sin troppo chiari sulle intenzioni europee di reclamare una stretta sulle spese di Roma, o quanto meno di rivendicare il diritto di controllarle e indirizzarle.

Letta avrebbe potuto acccettare, non Renzi. Per lui la possibilità di decidere da solo come spendere, se del caso anche a scopi puramente elettorali e propagandistici, è condizione necessaria e non sacrificabile.

Il rischio è che, dalle parole sempre più forti, si passi ora alle bombe vere. Ieri la Commissione ha deciso di aprire una «indagine approfondita» sugli aiuti di stato all’Ilva di Taranto. È una scure sospesa sul capo dell’Italia. Ove gli ispettori concludessero che quegli aiuti non servivano solo a proteggere l’ambiente ma anche a supportare l’azienda, verrebbe chiesta la restituzione di un paio di miliardi. Come è una potenziale minaccia anche l’indagine della Bce sui crediti deteriorati delle banche italiane. Da Francoforte ieri è arrivato l’unico segnale rassicurante della giornata: «E’ solo una pratica standard». Ma intanto in Borsa Monte Paschi va ogni giorno più a fondo. Il vero rischio, però, è che il braccio di ferro tra Roma e Bruxelles pesi sul giudizio finale della Ue sulla manovra italiana: quello da cui dipenderà la concessione o meno di nuovi margini di flessibilità.