È arrivata immediata e dura la reazione della Turchia alla decisione della Corte Suprema di Atene che il 26 gennaio ha rifiutato la prima richiesta di estradizione nei confronti di otto militari turchi, atterrati in elicottero nella città di Alexandroupolis il 16 luglio scorso e ritenuti da Ankara direttamente coinvolti nel tentato golpe.

Il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu ha rilasciato il 27 gennaio una durissima intervista alla televisione di stato turca Trt: «Abbiamo fornito alla Grecia tutti i documenti e le prove necessarie [all’estradizione]. Quella greca è una decisione di natura politica», adottata «per proteggere e dare ospitalità a terroristi e golpisti. Dà asilo anche a terroristi del Pkk e del Dhpk-C. È risaputo che campi di addestramento di questa organizzazione si trovano in Grecia», ha affermato, riferendosi ad un gruppo armato turco di ideologia marxista-leninista.

La prima reazione ufficiale è stato però l’inoltro di una seconda richiesta di estradizione ad Atene per gli otto militari (due comandanti, quattro capitani e due sergenti), per i quali è stata anche richiesta la scarcerazione in attesa che venga valutata la domanda di asilo politico. I militari sostengono che la loro sicurezza personale sarebbe in grave pericolo in caso diestradizione e la corte greca ha dato loro ragione.

Non si ferma infatti la repressione del governo turco nei confronti di centinaia di migliaia di persone considerate colluse con la rete dell’imam Fetullah Gülen, che la Turchia considera la mente dietro il tentato golpe.

Sono stati migliaia gli arresti anche in queste ultime settimane, mentre si moltiplicano gli allarmi di diverse organizzazioni internazionali, tra cui Human Rights Watch, sulla effettiva accessibilità in Turchia non solo ad un giusto ed equo processo, ma anche ad un regime carcerario compatibile con gli standard internazionali.

Nel frattempo la 12° Corte Criminale di Istanbul ha spiccato mandati di cattura per tutti gli otto militari dietro richiesta dell’Ufficio del capo procuratore. Ankara avrebbe inoltre contattato l’Interpol per ottenere contro i fuggitivi mandati di cattura internazionali.

Cavusoglu ha dichiarato che il governo turco adotterà tutti gli strumenti necessari contro Atene e ha paventato anche la cancellazione dell’accordo di riammissione dei migranti, firmato con la Grecia in seguito ad un incontro avvenuto il 5 febbraio 2016 tra il ministro greco Panayiotis Kouroublis e le allora controparti francese e tedesca Bernard Cazeneuve e Thomas de Maiziere, al termine del quale la Grecia ha effettivamente dichiarato la Turchia paese terzo sicuro e gettato così le basi legali per l’accordo turco-europeo per il rimpatrio verso la Turchia dei migranti, qualora la loro domanda di asilo a paesi europei venga considerata non idonea.

Un ulteriore segnale di come i rapporti tra Turchia e Grecia siano sempre delicati arriva anche dal commento (riportato dal quotidiano filogovernativo Yeni Safak) del Ministero degli Esteri turco sulla sentenza di una corte francese che ieri ha rigettato una proposta legislativa passata dal parlamento francese l’anno scorso e volta a rendere illegale il negazionismo del genocidio armeno del 1915 ad opera del cadente Impero Ottomano: «La sentenza è un’importante vittoria per la Turchia contro i menzogneri tentativi della Grecia [considerata dai turchi la mente dietro l’accusa di genocidio, ndr] di etichettare come illegale il rifiuto del cosiddetto genocidio».

Ma la diatriba rischia anche di complicare i colloqui in corso sullo status di Cipro, altro tema scottante nelle relazioni tra i due paesi. Rilanciati dalle Nazioni Unite nel 2015, i colloqui hanno visto importanti progressi di riavvicinamento tra le parti nel corso del 2016, in particolare grazie ai ripetuti incontri tra i due leader della Cipro greca, Nikos Anastasiades, e della Cipro turca, Mustafa Akinci, la cui autorità è internazionalmente riconosciuta soltanto dalla Turchia.

Proprio i legami tra Turchia e autorità de facto di Cipro nord, sostanzialmente finanziate da Ankara, consentirebbero a quest’ultima di allungare o accorciare il guinzaglio e quindi facilitare o bloccare i colloqui per una soluzione della quarantennale questione.