Erano le 9,30 di ieri mattina quando il presidente Uhuru Kenyatta ha potuto dire che l’attacco iniziato oltre 18 ore prima era terminato e i terroristi uccisi. Il giorno prima un commando formato da cinque (forse 7) uomini aveva assalito il complesso commerciale di Riverside nel bel quartiere di Westland a Nairobi, in quella che sembrava una replica dell’attentato al centro commerciale Westgate del 2013, dove gli attentatori avevano tenuto sotto scacco l’esercito keniano per ben quattro giorni, uccidendo 67 persone.

Martedì gli apparati di sicurezza keniani sono intervenuti rapidamente anche con il supporto di militari americani e britannici. Dalle persone che erano rimaste chiuse negli uffici e nelle camere dell’hotel DusitD2 sono arrivate in diretta drammatiche testimonianze al telefono con i famigliari e via twitter. Ruben Kimani, un barista rimasto per ore intrappolato all’interno dell’albergo, ha dichiarato al quotidiano The Nation di aver riconosciuto che uno degli assalitori: «L’ho riconosciuto perché aveva una grossa cicatrice sulla mano… Hanno sparato a sei miei amici e due sono morti».

Il presidente Kenyatta ha comunicato che ci sono state 14 vittime, tra cui un cittadino americano e uno britannico (anche se la Croce rossa keniana parla di 24 morti): «Cercheremo ogni persona coinvolta – ha aggiunto – e perseguiremo al Shabaab implacabilmente. Li inseguiremo ovunque si trovino e faremo ogni passo necessario per rendere la nostra nazione inospitale per i gruppi terroristici e le loro reti».

 

(Photo by KABIR DHANJI / AFP)

 

L’attacco è avvenuto proprio nei giorni in cui il tribunale keniano si prepara ad emettere la sentenza nei confronti di quattro uomini accusati di aver favorito l’attacco al centro commerciale di Westgate e ad esattamente tre anni di distanza dall’ultimo attentato commesso da al-Shabaab contro il Kenya: il 15 gennaio del 2016 i terroristi attaccarono la base della missione El Adde in Somalia, uccidendo almeno 140 soldati keniani.

Il gruppo terroristico di al Shabaab ha rivendicato l’attentato pubblicando un comunicato su Site Intelligence Group: «Confermiamo che i nostri mujahideen hanno portato a termine l’operazione programmata e che il target è stato raggiunto». Il gruppo sebbene appaia fortemente ridimensionato in Somalia anche in conseguenza di uno scontro interno al movimento, dove è in atto una separazione tra la fazione fedele allo Stato islamico in Somalia e quella maggioritaria legata ad al Qaeda, dimostra di poter influenzare i Paesi limitrofi. Questo tipo di attentati segnala, diversamente da come si era pensato dopo la caduta del muro di Berlino, che i confini non sono spariti, ma si riposizionano continuamente e oggi sono in primis dentro le città. Ed è questo tipo di frontiere che i terroristi vogliono mostrare di poter violare, non il tratto di terra che separa il Kenya dalla Somalia.

 

(Photo by SIMON MAINA / AFP)