È domenica 3 febbraio, l’inverno nelle Alpi italiane è stato finora avaro di neve ma finalmente in questi giorni una perturbazione ha portato abbondanti precipitazioni, nevose anche alle basse quote. Le previsioni meteo non sono ancora ottimali; la giornata si prospetta comunque interessante per tutti gli appassionati di sci, soprattutto per coloro che si avventurano fuoripista, ché della neve artificiale sparata nei comprensori non se ne fanno nulla. Ma per 7 di loro e per i loro cari, quella che doveva essere soltanto una bella giornata all’aria aperta si trasformerà in una tragedia.

Alla sera si registreranno 3 decessi provocati da valanghe in Alto Adige, Lombardia e Valle d’Aosta. Il giorno successivo i corpi di altri 4 sciatori, dispersi dal giorno prima, verranno trovati sepolti da un’altra slavina, ancora in Valle d’Aosta. Come accade sempre in queste occasioni, scoppia il dibattito su giornali, telegiornali, siti internet e social media a suon di titoli roboanti: «Strage di sciatori» e «valanghe killer».

«La valanga è certamente l’incidente più mediatico tra quelli che accadono in montagna – ragiona Walter Milan, addetto stampa del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico –, perché è un fenomeno ancora poco conosciuto presso il pubblico di massa e imponderabile tra gli addetti ai lavori. È ancora diffusa l’idea della montagna che precipita inghiottendo uomini e case quando basta un piccolo distacco per travolgere uno scialpinista. Il numero di persone coinvolte in un incidente da slavina oscilla intorno all’1% rispetto al totale delle persone soccorse a livello nazionale dai nostri tecnici. Tuttavia le conseguenze sono spesso gravi, con un elevato tasso di mortalità».

Infatti la prevenzione dell’incidente in valanga è un argomento che tutti gli appassionati di montagna prendono in grande considerazione. Tutti i corsi invernali del Club Alpino Italiano prevedono lezioni teoriche e pratiche di nivologia e autosoccorso in valanga e in tutte le uscite di scialpinismo, racchette da neve e arrampicata su ghiaccio è obbligatorio dotarsi dell’attrezzatura per il ritrovamento del travolto. Spesso per intrattenere bambini e ragazzi nelle giornate di maltempo anche le scuole di sci e gli sci club dei comprensori organizzano esercitazioni per imparare a utilizzare il kit di autosoccorso in caso di valanga: la pala, la sonda e l’Apparecchio per la Ricerca del Travolto in Valanga (Artva). Già, perché in caso di seppellimento, gli studi su oltre 700 casi reali hanno dimostrato che il 90% delle persone estratte entro 18 minuti sono sopravvissute. Già dopo 45 minuti, la percentuale crollava al 25%.

Significa che per uscire vivi dalla valanga è necessario l’autosoccorso repentino dei propri compagni di escursione. Anche il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico organizza una giornata di prevenzione chiamata «Sicuri con la neve» in cui organizza attività ed esercitazioni nelle montagne di tutto lo stivale dove i propri tecnici si mettono a disposizione dei frequentatori della montagna per insegnare le tecniche più corrette di autosoccorso.

Le Regioni alpine e appenniniche a loro volta hanno istituito strutture che emettono i bollettini valanghe necessari per prevenire gli incidenti tra gli escursionisti e per la prevenzione delle grandi calamità come valanghe su centri abitati o strade carrozzabili. Ogni due giorni i previsori emettono un bollettino valanghe sulla base dei rilievi effettuati dalle centraline automatiche e dai rilevatori sparsi su tutto il territorio montano. Il rischio valanghe viene calcolato sulla base di una serie di criteri validati a livello internazionale e comunicato attraverso la Scala europea del pericolo valanghe che prevede 5 livelli. L’Associazione Interregionale di coordinamento e documentazione per i problemi inerenti alla neve e alle valanghe (Aineva) raggruppa queste strutture a livello alpino ed effettua l’analisi statistica annuale degli incidenti da valanga a livello nazionale.

Eppure si muore ancora sotto le valanghe, come dimostrano gli eventi di questi giorni.

«In effetti negli ultimi 20 anni la media dei decessi in valanga è stabile intorno alle 20 unità all’anno – esordisce Stefano Pivot, valdostano, che ogni anno stila le statistiche degli incidenti per Aineva – anche se pensiamo che la situazione sia in miglioramento. Rispetto agli anni Settanta, dopo che le competenze sui rischi naturali sono stati trasferiti alle Regioni, sono praticamente scomparse le vittime provocate dalle valanghe su centri abitati e sulla viabilità, salvo alcuni casi molto isolati come il disastro di Rigopiano. Un’altra netta diminuzione dei decessi si è avvertita qualche anno dopo, verso inizio anni Ottanta quando si è diffuso l’utilizzo degli Artva. Attualmente, non registriamo una riduzione dei decessi ma il sensibile aumento di frequentatori della montagna invernale, scialpinisti, freerider ed escursionisti con racchette da neve che non ha portato all’aumento del numero di incidenti mortali».

Nonostante il progresso tecnologico e uno storico sempre più ampio di studi e rilievi eseguiti a livello internazionale, la nivologia rimane una scienza inesatta che può soltanto fornire delle indicazioni sulle probabilità del distacco di una valanga.

«Il grande nivologo americano Bruce Tremper afferma che il 95% delle volte un pendio è stabile – prosegue Pivot –. Ma la valutazione di quel 5% di pendii a rischio è difficilissima. Io stesso sono nivologo e Guida alpina, ma sono stato vittima di una valanga a causa di una cattiva interpretazione. Quando uno sciatore provoca il distacco di una slavina le cause sono da ricercare nell’intreccio tra le condizioni indicate dalla previsione nivologica, la fatalità e fattori umani come l’accettazione del rischio o l’inconsapevolezza. Spesso la tecnologia può essere un fattore di aumento dell’omeostasi al rischio. Pensiamo di essere immuni dai pericoli perché abbiamo l’attrezzatura più all’avanguardia, ma può essere una falsa illusione».

Si scomodano anche termini stranieri altisonanti come l’«over confidence», ossia l’eccesso di fiducia, che alcuni studi hanno individuato alla base di molti incidenti da valanga. In fondo si mettono in campo tutte le risorse possibili per consentire alle persone di perseguire una passione con la massima sicurezza possibile.

«È difficile spiegare a chi non conosce e frequenta la montagna cosa si prova a praticare un’attività meravigliosa in mezzo alla neve candida e in un ambiente naturale incontaminato – conclude Stefano Pivot – Io ci sono tornato, più consapevole, anche dopo essermi salvato da una valanga».