Al primo impatto è l’enorme manifesto a colpire l’attenzione, quel corpo nudo rannicchiato su se stesso che sembra spaventato e sordo a ciò che accade attorno. Metafora del teatro contemporaneo forse, impaurito a volte dall’indifferenza che ci circonda, ma che può riuscire con un guizzo a sfondare le barriere e a prendere aria, proprio come quelle due gambe che nuotano verso la superficie della piscina nella stessa locandina di Primavera dei teatri, il festival dedicato ai nuovi linguaggi della scena contemporanea.
Lo organizza da diciotto anni Scena Verticale, la compagnia diretta da Saverio La Ruina e Dario De Luca. E ogni volta un piccolo grande miracolo accade nella cittadina calabrese. In una regione periferica e disagiata, questo festival sfida tutto e tutti fino a diventare luogo privilegiato di dibattito culturale, in cui si incrociano compagnie di diverse generazioni, alcune delle quali già molto apprezzate (quest’anno Babilonia, Fortebraccio, Oscar De Summa, lo stesso Saverio La Ruina), altre in cerca di una strada (da Marta Dalla Via a Stabilemobile, da Maniaci d’amore a Frigoproduzioni).
I risultati naturalmente sono diversi e non sempre perfetti, ma poco importa, perché ciò che conta è sapersi aprire al nuovo.

 
La sfida che affronta Enrico Castellani in Pedegree, per esempio, è misurare la capacità di un giovane uomo di chiarire a se stesso e agli altri il concetto di identità. Questione non da poco per uno che ha due madri, un padre donatore e cinque fratelli di sperma sparsi per il mondo e tutti con lo stesso identico nome: Loris. Lo spettacolo parte dal mito delle due metà descritto nel Simposio di Platone e narrato da Aristofane: un tempo gli uomini erano perfetti ma Zeus invidioso li divise a metà e da allora ciascuno è in cerca della propria anima gemella. Qui le due metà sono dei polli…uno, due, tre, quattro, cinque. Castellano, seduto su un divano rosso, li tira fuori dalla borsa per cucinarli allo spiedo. L’odore pervaderà la sala, ma sappiatelo, non finirà con cosce croccanti distribuite al pubblico.

 

Nel mezzo, Pedegreee parla di scelte e di diritti, di desideri e di generazioni in provetta con una scrittura asciutta e ironica, imperfetta nella costruzione drammaturgica ma di impatto, come sono spesso gli spettacoli di Babilonia Teatro.

 

 

È un’opera rap per Andrea Pazienza, invece, lo spettacolo presentato dai Fratelli Dalla Via con Gold Leaves e la Piccionaia: Personale Politico per Pentothal. Dentro c’è la Bologna degli anni ’70 ma anche l’Italia di oggi, tutto raccontato in maniera un po’ confusa, è vero, ma lei, Marta Dalla Via, a cui è affidato il monologo, riesce a gestire con disinvoltura quella carrellata di giochi di parole che ci ricordano tanto Alessandro Bergonzoni.
I fuoriclasse del festival sono senza dubbio Saverio La Ruina (Masculo e fìammina), Oscar De Summa (La Cerimonia) e Roberto Latini (Il cantico dei Cantici). Deludono, invece, Aiace della compagnia Stabilemobile di Antonio Latella, e Franco Stone – una storia vera dei Sacchi di sabbia. Il filo conduttore del festival? La ricerca d’identità, o meglio ancora del sogno, che anima le nostre vite dentro e fuori la scena.