«Non c’è alcuna trattativa» assicura il ministro per i rapporti con il parlamento Dario Franceschini. Parla in vece di Enrico Letta, che in teoria è chiuso a preparare il discorso «senza sconti» che leggerà stamattina in senato. Ma nella pratica Letta passa da un incontro a un vertice a una riunione: vede più volte Alfano e la pattuglia di ministri «diversamente» berlusconiani, riceve lo zio Gianni a palazzo Chigi, sale al Quirinale, parla con Epifani, accoglie persino Matteo Renzi che gli concede una promessa di non belligeranza, però di breve scadenza. La trattativa c’è è porta in dote una relativa tranquillità: un numero sufficiente di senatori del Pdl seguiranno la scissione di Alfano. Alle otto di sera Letta valuta di aver raggiunto la sicurezza e comunica di aver respinto le dimissioni dei cinque ministri del Pdl.

È una mossa un po’ disinvolta, visto che solo ieri quelle dimissioni erano state qualificate come «irrevocabili» proprio da palazzo Chigi. Ma per tenere insieme una nuova e più piccola intesa che secondo Epifani segna nientemeno che la «fine del ventennio» berlusconiano servono i salti mortali. Come quello che potrebbero fare i senatori di Sinistra e libertà che forse faranno la differenza con i loro sette voti. Letta riceve Vendola con i capigruppo a tarda sera, Sel chiede un segno di discontinuità nel discorso del presidente del Consiglio: arrivasse potrebbe scegliere di favorire la sopravvivenza di Letta per non darla vinta a Berlusconi. È solo alla conclusione dell’incontro con Vendola – mentre il governatore della Puglia chiarisce che il premier deve «seppellire questa stagione e tornare in parlamento per fare la legge elettorale» – che Letta chiude il cerchio e respinge le dimissioni dei ministri (senza neanche passare per un Consiglio dei ministri). A quel punto il governo è di nuovo formalmente completo e dunque può chiedere la fiducia sulla mozione che la maggioranza residua presenterà oggi. Può partire la conta.

I numeri ci sono, ma non si largheggia. I «quaranta» che Alfano ha garantito a Letta e minacciato a Berlusconi sono in maggioranza deputati, dunque inutili visto che Montecitorio per il Pd resta il paradiso del premio di maggioranza. Il pallottoliere di palazzo Chigi conta una quindicina di senatori decisi ad ascoltare più Alfano e Comunione e liberazione che il Cavaliere. I quattro ex grillini del gruppo misto sono della partita. Anche i senatori a vita, almeno i tre sui quali si può fare affidamento per la presenza (Cattaneo, Piano e Rubia – Monti è nei conti di Scelta civica). Fosse davvero così l’appello dei favorevoli si fermerebbe pericolosamente a 160, un senatore in meno della maggioranza assoluta. Per questo Sel può risultare decisiva.

Tutte queste manovre e questi conteggi stridono con le dichiarazioni pubbliche. La trattativa c’è stata ed è stata serrata. Franceschini la nega ma ha ragione solo nel riferimento a Berlusconi, che per rientrare nel gioco ha chiesto prima cose impossibili – il salvataggio in giunta – poi solo improbabili – la rinuncia al voto di fiducia. Gli è stato risposto con tutta la nettezza necessaria per tranquillizzare un Pd sfiorato dal panico. Oggi Letta, garantisce Franceschini, insisterà «sulla netta e totale separazione tra le vicende di governo e le procedure in corso nella giunta delle autorizzazioni e sull’irrinunciabile rispetto delle regole di uno stato di diritto».
Numeri così stretti non garantiscono una navigazione tranquilla a Letta, che però può contare sulla proverbiale adattabilità dei senatori agli eventi. Oggi i meno coraggiosi del Pdl potrebbero scegliere di non presentarsi alla chiama, riservandosi un prossimo soccorso al vincitore se la maggioranza delle «nuove intese» dimostrasse di poter reggere. E se Berlusconi accusasse il colpo più del previsto, dal momento che da qui a qualche settimana il Cavaliere sarà dichiarato decaduto dal parlamento.

Napolitano ha dato il suo via libera all’operazione. Consentendo a Letta di sterilizzare la crisi per cinque giorni in attesa che si ricomponesse nel campo del Pdl. La soluzione deve molto alla fermezza del Quirinale nel rifiutare fino all’estremo l’ipotesi dello scioglimento delle camere. A metà giornata Napolitano è dovuto intervenire per respingere l’eventualità di un governo che tira a campare, messo in circolo dai berlusconiani più fedeli ad Arcore. Ha preteso uno «sbocco non precario» in grado di garantire al governo di superare non solo «le scadenze più vicine» come la legge di stabilità ma anche «gli obiettivi da perseguire nel 2014». Il Letta-fotocopia nasce con l’obiettivo di durare un anno. Dovrà sudarsi anche quello.