Fuori Stefania Giannini, al ministero dell’Istruzione va la vice-presidente del Senato, già sindacalista Cgil, Valeria Fedeli (Pd). Il nuovo esecutivo Gentiloni ha trovato il capro espiatorio della sconfitta di Renzi al referendum: l’ex titolare del Miur che ha creato e poi gestito l’eredità di una delle più odiate leggi del «rottamatore», quella che porta il nome di un’iperbole: la «Buona Scuola». Tanto «buona» da avere prodotto il più grande sciopero generale nel mondo dell’Istruzione. Tanto «buona» da avere provocato uno scisma tra il tradizionale bacino di voti della «sinistra», quello degli insegnanti, e il Partito Democratico.

Che Giannini sia la vittima sacrificale sulla quale i renziani hanno scaricato le loro responsabilità è confermato dalla singolare diversità di trattamento con un altro imputato della sconfitta politica del 4 dicembre. Giuliano Poletti è rimasto in sella al ministero del lavoro a difesa del Jobs Act. Avere rimosso la co-autrice (con Renzi, non va dimenticato) della riforma della scuola, e avere lasciato al suo posto Poletti conferma quanto per il nuovo governo la riforma del lavoro sia un manifesto ideologico da difendere. Ancor più del «preside manager» e dell’autoritarismo della «Buona scuola».

Più volte Renzi, in campagna elettorale, ha ribadito di «avere sbagliato qualcosa sulla scuola». Non ha detto cosa, ma evidente è stata la sua presa di distanza da una ministra che ha esautorato con il suo protagonismo perdente. Il «No» va inteso come una bocciatura senza appello, l’ultima trincea della resistenza contro un partito che ha usato i voti per la scuola per fare politiche neoliberali contro docenti e studenti. Quanto a Giannini sarà ricordata come la responsabile della «mcdonaldizzazione» dell’alternanza scuola-lavoro, uno delle più violente pratiche di precarizzazione degli adolescenti italiani.

Già rettrice all’università per stranieri di Perugia, con un bilancio non propriamente memorabile, Giannini ha provato a rialzare le quotazioni politiche abbandonando la scombinata esperienza dei montiani di Scelta Civica e trovando una più corposa copertura tra i senatori del Pd. Non giovò la partecipazione alle europee dove incassò 3218 preferenze personali. La sua dipendenza rispetto a Renzi è stata assoluta. Disinteressata, o incapace, nel gestire i gravi problemi dell’università e della ricerca prodotti dalla riforma Gelmini, Giannini sarà ricordata per il progetto delle 500 cattedre Natta, quei “super-professori” nominati dalla presidenza del Consiglio (cioè Renzi) attraverso un ferreo controllo sulle nomine delle commissioni esaminatrici.

Un’anomalia inquietante che la ex ministra ha avuto modo di definire “professori ad alta velocità”. Come se si trattasse di treni freccia rossa 1000 Milano-Napoli. Mix tra esotismo modernizzatore e idioletto da innovatore di bottega, la proposta è stata in realtà elaborata dal dominus della politica economica renziana, l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, il bocconiano Tommaso Nannicini. Sembra che una parte importante delle cattedre dei superprofessori andranno alle materie insegnate dalla ministra dell’Istruzione Giannini: la glottologia e la linguistica.

Considerati i trascorsi sindacali, Valeria Fedeli è stata presentata come una nomina di riappacificazione. Fedeli si è occupata di recente di educazione alle differenze nelle scuole. E’ l’unico legame con l’istruzione. Nel suo curriculum si nota l’esperienza sindacale tra i lavoratori tessili, la partecipazione al “Tavolo per lo sviluppo del Made in Italy” con Bersani al ministero dello sviluppo (governo Prodi) e alla scrittura delle linee guida di politica industriale “per la competitività e l’internazionalizzazione del Sistema produttivo della moda italiana”. Esperienze non proprio centrali per chi si avvia a governare scuola e università. Un curriculum che potrebbe essere inadeguato per cambiare un chiaro orientamento politico.

Sulla “buona scuola” non c’è l’ombra di un’autocritica. Istruzione, governo e Pd sono pianeti lontanissimi.