I raid su Kunduz non sono solo un fatto odioso perché bombardare una città significa produrre vittime civili certe. È sbagliato dal punto di vista politico, poiché diminuisce le già labili speranze di un negoziato di pace. Ed è inefficace militarmente come ormai la storia recente, dall’Iraq alla Siria passando ovviamente per l’Afghanistan, sembra aver ampiamente accertato.

Kunduz tra l’altro è stata già teatro di una strage: nel 2009, aerei della Nato, chiamati in soccorso da un colonnello tedesco, bombardarono centinaia di persone che stavano tentando di spillare gasolio da due autobotti, poco prima sequestrate dalla guerriglia.

La strage di Kunduz è uno dei tanti episodi orribili di questa guerra che aveva reso più evidente la tragica beffa degli “effetti collaterali”. Conditi da un’altra beffa ancora: a Bonn, quattro anni dopo, un tribunale respinse la domanda di risarcimento di decine di famigliari delle vittime che in totale – secondo l’avvocato delle famiglie – erano state 137. Responsabile, come nella favola omerica: «Nessuno».

I raid aerei sono odiosi anche per questo e la loro evoluzione, il drone senza pilota, è la massima aspirazione di un modus operandi che militarmente – e politicamente – ha una sola funzione: terrorizzare. Spaventare il nemico (di solito protetto da bunker o elmetti) terrorizzando la popolazione civile. Funziona egregiamente: come provano le guerre a Gaza, «vittoriose» su un popolo decimato da bombe intelligenti.

A chi non è sensibile al lato umano, si può ben contestare che, nella maggior parte dei casi, i bombardamenti sono inefficaci per vincere la guerra come ben dimostra il caso afghano.

Dopo 15 anni di raid i talebani sono ancora lì. Servono allora più truppe di terra magari straniere e ben addestrate? L’Afghanistan, che truppe straniere ne ha contate sino a 130mila, dimostra il contrario.