A pochi mesi dallo scandalo sulle emissioni truccate di Volkswagen, Mitsubishi, uno dei più importanti produttori giapponesi di auto, ammette di aver modificato «arbitrariamente» i dati sui consumi di carburante di oltre 600mila vetture.

Mercoledì sera, presentandosi davanti alla stampa, il presidente e direttore operativo di Mitsubishi Motors, Tetsuro Aikawa, insieme ad altri dirigenti dell’azienda, ha eseguito un profondo inchino. Un gesto di contrizione e di scusa ai clienti e agli azionisti per gli «errori intenzionali» che hanno compromesso la veridicità dei dati sulle emissioni dei veicoli. E, soprattutto, il buon nome dell’azienda, già colpito duramente nei primi anni 2000 e ricostruito in parte anche grazie agli sforzi fatti nello sviluppo di tecnologie «verdi».

Lo scandalo sembra al momento riguardare alcuni modelli prodotti per il mercato giapponese e venduti con i brand Mitsubishi e Nissan. Un’indagine interna dovrà ora accertare che non siano interessati anche modelli venduti all’estero.

Il caso esplode quando Nissan, azienda per cui Mitsubishi produce le piccole utilitarie Dayz e Dayz Roox, rileva «incongruenze» nei dati tecnici forniti su 468mila vetture. Una prima indagine interna a Mitsubishi chiarisce allora che la pressione degli pneumatici è stata falsificata per ridurre l’impatto sul consumo di carburante. «C’è stata una chiara opera di manomissione per far apparire i parametri di consumo delle auto migliori del 5-10 per cento», ha spiegato Aikawa con visibile imbarazzo. «Ma il motivo della frode ci è tuttora ignoto».

Intanto Reuters pubblica le prime stime sui costi monetari della vicenda: 450 milioni di dollari in rimborsi ai consumatori, costi di sostituzione di componenti e indennizzi a Nissan. Questi vanno ad aggiungersi alle perdite registrate in borsa nelle ore subito precedenti e subito successive alle rivelazioni sulle emissioni truccate. Pochi minuti dopo la convocazione della conferenza stampa di mercoledì, le azioni di Mitsubishi avevano perso il 15 per cento del loro valore. Giovedì mattina il titolo sulla piazza di Tokyo è stato sospeso per mancanza di compratori a fronte di un’ondata di vendite. In poche ore sono stati bruciati oltre 2 miliardi di dollari.

Nella giornata di giovedì il Ministero dei trasporti ha inviato alcuni suoi funzionari ad ispezionare uno dei principali stabilimenti di produzione a Okazaki, Giappone centrale. Il governo di Tokyo vuole vederci chiaro.«Gestiremo il caso in modo rigoroso per assicurare la sicurezza delle automobili», ha commentato il portavoce del governo Yoshihide Suga.

Lo scorso anno, il settore automobilistico giapponese era stato duramente colpito dal richiamo di oltre 6,5 milioni di veicoli Toyota, Mazda e Nissan a causa di difetti agli airbag prodotti da Takata, fornitore, tra gli altri anche di Bmw, Chrysler, Ford e Honda. Anche se al momento sembra avere una dimensione «locale», questo nuovo scandalo è destinato ad affossare la fiducia dei consumatori nei confronti di Mitsubishi, quarto più grande costruttore giapponese di auto.

Sono però ancora una volta le pratiche poco trasparenti delle grandi aziende giapponesi nel mirino, a meno di un anno dalle rivelazioni sui bilanci truccati di Toshiba. Mitsubishi Motors non è peraltro nuova a questo tipo di scandali. Nel 2000, l’azienda è costretta a richiamare più di 600mila veicoli principalmente venduti in Giappone, per difetti ai freni, alla frizione e ai serbatoi dopo aver ammesso di aver «sistematicamente nascosto» per più di vent’anni i reclami dei clienti.

Nel 2002, poi, la morte a Yokohama di una donna colpita da una ruota sganciatasi da un TIR della stessa casa automobilistica attira l’attenzione degli inquirenti. Dalle indagini, concluse nel 2004, emerge che l’azienda aveva inviato rappresentanti in tutto il paese offrendo sostituzioni di parti di auto in cambio del silenzio dei proprietari d’auto sui malfunzionamenti.

A queste rivelazioni seguono i guai finanziari: nel 2004 DaimlerChrysler lascia il 37 per cento delle azioni di Mitsubishi. Il gruppo Mitsubishi nomina allora Osamu Masuko al vertice del comparto automobilistico con il compito di ricostruirne finanze e reputazione.

Nel 2014, il passaggio di consegne a Aikawa, ingegnere e figlio di Kentaro, storico presidente di Mitsubishi Heavy Industries, pezzo pregiato del conglomerato di Tokyo. Due anni fa, Aikawa aveva puntato tutto sulle «minicar» per il rilancio della sua azienda. Oggi, proprio su queste, potrebbe essersi giocato la carriera.