Oggi è l’ultima occasione per introdurre in Europa la tassa sulle transazioni finanziarie. A tre settimane dalle elezioni europee, minacciate da astensione e crescita del rifiuto d’Europa dell’estrema destra, i ministri delle finanze hanno la possibilità di mandare un segnale di svolta. Ma non succederà, purtroppo.

Francia e Germania si sono messe d’accordo per presentare un’intesa minima: verrà dato il via libera a una tassa solo sul mercato azionario, cioè una riedizione delle già esistenti tasse di Borsa, mentre verrà rimandato a un momento ulteriore – che potrebbe non arrivare mai – l’estensione della tassa sulle transazioni ai prodotti derivati, ai mercati delle materie prime e alle divise, che sono una fetta dieci volte maggiore. Quando nel febbraio 2013 era stata rilanciata da undici paesi Ue (tra cui l’Italia) l’idea di introdurre questa tassa in cooperazione rafforzata (per scavalcare il niet di alcuni stati), la Commissione aveva calcolato che avrebbe potuto fruttare 34 miliardi l’anno. E c’era già stata una rissa su come spartirsi la manna, che in una prima versione, utopica, della Tobin Tax sarebbe dovuta andare all’aiuto allo sviluppo.

Gli stati sembravano pronti a devolvere questi soldi alla riduzione del debito. Ma le banche – in primis quelle francesi e tedesche, leader europee dei derivati, appoggiate dalle banche centrali – hanno fatto un’efficace operazione di lobbying: il mondo della finanza ha minacciato il ritiro degli investimenti, il rischio di delocalizzazione e l’asfissia del finanziamento dell’economia reale. La Gran Bretagna si è persino rivolta alla Corte di giustizia europea, che ha però bocciato il ricorso, dove la City di Londra sottolineava i «rischi» che la tassa, se adottata solo da 11 paesi Ue, avrebbe fatto correre anche agli altri membri Ue. Risultato: salvo la sorpresa dell’ultimo momento, il testo che i ministri delle finanze dell’Eurogruppo sottoporranno oggi ai 28 paesi Ue riguarderà solo il mercato azionario. In prospettiva, i 34 miliardi sperati si ridurranno a poco più di 3 miliardi. «Non credo che passeremo un giorno alla tassazione dei prodotti derivati – prevede Pascal Canfin, ex ministro francese e fondatore di Financial Watch – sarà un funerale di prima classe, l’Europa si priverà del 90% della tassa che poteva incassare. Sarà una straordinaria occasione mancata». Resterà così quasi intatto il rischio di una nuova «bolla» finanziaria, per l’enorme crescita in atto dei prodotti derivati, all’origine concepiti come «assicurazioni» contro i rischi della finanza ma che ormai si scambiano a ritmo sfrenato, quasi senza controllo: questo mercato ha ritrovato i ritmi del 2008, cioè di prima della crisi (770mila miliardi di dollari nel primo trimestre 2014, di cui 370mila miliardi in Europa e 220mila miliardi negli Usa).

Il progetto di una tassa sulle transazioni finanziarie venne proposto dalla Commissione nel 2011. L’ipotesi era di tassare a un tasso basso – lo 0,1% – le transazioni in azioni e obbligazioni. Per i derivati era stata fatta l’ipotesi di una tassa dello 0,01%. Ma poi si sono moltiplicati i bastoni tra le ruote. Non c’è neppure accordo su chi debba prelevare la tassa: lo stato dove ha sede chi opera la transazione oppure tutti i paesi implicati? La complessità dei mercati finanziari e la loro assenza di trasparenza sono parte della manovra per sfuggire alle imposte.