Non sono buone le notizie che arrivano dal ministero dello sviluppo economico, dove Fiom, Fim e Uilm sono stati convocati per conoscere il nuovo piano industriale per le Acciaierie di Piombino. Dalle prime indiscrezioni, mentre il lungo incontro fra Cevital e sindacati metalmeccanici è ancora in corso, manca da parte dell’azienda un convincente piano finanziario, per superare il lunghissimo impasse in cui si è arenato il maxi progetto di Issad Rebrab, comprendente un forno elettrico (ma dovevano essere due) e nuovi laminatoi, come primo passo focalizzato sulla siderurgia. A cui dovrebbe seguire, sempre in teoria, una diversificazione delle attività con la realizzazione di un impianto agroindustriale e di una piattaforma logistica.
La fumata grigio-nera era stata peraltro annunciata già al termine del summit di lunedì scorso fra i manager di Aferpi (nuova denominazione sociale delle Acciaierie) e il ministro Calenda. In particolare era emersa l’ennesima richiesta di tempo – tre mesi ulteriori – da parte del Ceo di Cevital, Said Benikene, proprio sul nuovo progetto esecutivo, in particolare sul versante del piano di finanziamenti e dell’eventuale scelta di possibili partner industriali. Un effetto diretto delle ormai assodate restrizioni da parte del governo (militare) algerino all’utilizzo all’estero dei capitali di Cevital, cui sono seguiti, con effetto valanga, i dinieghi degli istituti di credito italiani a finanziare con convinzione il piano industriale.
Il risultato è che, a tre anni dalla chiusura dell’altoforno per folle decisione del governo, quel che resta della cittadella dell’acciaio piombinese è praticamente fermo, perché anche il treno rotaie è bloccato per mancanza di materie prime. La produzione dovrebbe riprendere a inizio aprile, anche se a questo punto sono più i pessimisti che gli ottimisti. Per gli altri treni di laminazione, Tmp e treno vergella, fermi ormai da molti mesi, non c’è invece alcuna prospettiva di ripartenza, almeno nel breve periodo. Insomma un disastro per quello che era il secondo polo siderurgico italiano, appena attenuato dall’assunzione di tutti i 2.200 lavoratori ex Lucchini, già comunque costretti agli ammortizzatori sociali (contratti di solidarietà). Mentre lo storico indotto della siderurgia piombinese è, letteralmente, alla canna del gas.
I ritardi si assommano ai ritardi anche sul fronte delle necessarie bonifiche dell’enorme complesso siderurgico: come denunciato sia da Toscana a Sinistra che dal M5S, il Cipe avrebbe assegnato 50 milioni alla Regione Toscana per le bonifiche, ma i finanziamenti sono ancora bloccati nelle pieghe di discussioni infra-ministeriali fra i centri di spesa. Solo quando i soldi arriveranno alla Regione Toscana, potrà essere sbloccata la convenzione firmata con Invitalia, per dare il via effettivo alla complessa opera di risanamento ambientale nell’area delle Acciaierie. Ma anche in questo caso non i mesi ma gli anni stanno passando senza apprezzabili passi avanti.