La sezione di Venezia Classici 2019 presenta il sorprendente Fulci for Fake di Simone Scafidi, tra i più cinefili dei nostri cineasti indipendenti e non solo a filtrare la sua già variegata filmografia. Già: le scelte dell’attività didattica che lo vede docente alla Scuola Civica di Milano ne avevano dettato le predilezioni; le medesime che, successivamente messe a verifica in un manuale uscito per Audino Editore, avevano suscitato l’interesse dei giovani, soprattutto nella trasversalità dei giudizi, nelle misurate prospettive storiche e nei modi d’uso delle nuove tecnologie.

IN TALE SCALA di valori viene a collocarsi l’operazione Fulci for Fake, somma di un modo di far critica ancor carico di novità attraverso le forme ibride del documentario contemporaneo. Perciò adatto alla visione delle nuove generazioni, educate alla simultaneità di sguardo e alla brevità della comunicazione. Tuttavia, verso Fulci quello di Scafidi è un atto di fede e da fan avvertito sa che questa fede assoluta nel regista di Zombi 2 e di Quella villa accanto al cimitero, due di quel pugno di film che gli diede notorietà internazionale negli anni 80 a dispetto della sterminata e volitiva filmografia, avrebbe potuto come afferma contemplare un fallimento. Queste però sono più preoccupazioni da regista, al fan è destinato il piacere della visione, la reiterazione del godimento. Scafidi lo sa e con un escamotage, sperimentato in Zanetti Story (mockumentary girato con Carlo A. Sigon), costruisce già nel titolo una trama nella trama biografica di Fulci.

COSÌ in Fulci for Fake il falso si ibrida con la fiction e il repertorio: cioè l’intervista – testimonianza, scene capitali di film e materiale per lo più inedito proveniente da home movies che movimentano situazioni familiari e qualche backstage di film. Si capitalizza l’emozione e la s’incanala nell’invenzione di due personaggi, regista e attore del futuro biopic, che entrano con deferenza nella quotidianità verosimilmente bugiarda e aneddotica della persona e del regista Fulci, tragicomica, com’è un po’ tutta la vita del regista. Paolo Malco, amico di lunga data al di là dei film girati insieme, racconta non trattenendosi dal ridere che per liberarsi di una giovane spasimante straniera, promessa in sposa, lo costringe ad «interpretare» al telefono un avvocato dal forte accento siciliano che gli rivela l’intenzione della moglie di non divorziare. Tutto con la giovane che non capisce un’acca del dialetto e che, nel togliere le tende e con sottile sdegno, gli dice «miserable».

Qui sia il regista, dal nome battagliero di Saigon quasi invisibile tranne che per gli ordini indirizzati dai margini del «campo» e sia l’attore (l’avatiano Nicola Nocella) chiamato a vestire i panni di Fulci, subiscono un processo di immedesimazione talmente forte ed imprevedibile per come si muove tra pubblico e privato. La prospettiva rovesciata è rivelata dalle commuoventi testimonianze delle figlie, Antonella e soprattutto di Camilla, insostituibile spalla del padre, scomparsa a seguito di una malattia durante le riprese, in cui deflagrano i tanti interrogativi, disseminati tra sicumere critiche e rimpianti dei collaboratori, alla constatazione che in fondo i suoi film sono stati la sua vera biografia.