Da almeno un paio di anni, all’inizio di un torneo del grande Slam vien posta sempre la stessa domanda: sarà la fine di un’era tennistica? E all’epilogo della competizione arriva puntuale la stessa risposta. No, Rafael Nadal e Novak Djokovic (purtroppo Roger Federer ormai ha la carica di campione emerito!), nonostante l’età di entrambi, gli infortuni dello spagnolo, le posizioni estreme sul vaccino anti Covid del serbo, non hanno abdicato e nemmeno sono disposti alla defenestrazione.

D’altro canto, sinora, i giovani avversari non hanno ancora provato a instaurare un regime credibile, consegnandosi ai due tiranni, quasi vi fosse un destino scritto da un’entità superiore. Sono ancora stampate nella memoria le finali perse da Stefanos Tsitsipas a Parigi contro Djokovic e da Daniil Medvedev (che peraltro in precedenza a New York aveva impedito al tennista di Belgrado di realizzare il Grande Slam) a Melbourne contro Nadal. Due partite nelle quali il greco e il russo erano avviati a una facile vittoria, salvo farsi rimontare ed essere costretti a rivedere in fretta e furia il discorso finale con in mano la coppa più piccola e l’assegno meno remunerativo.

TUTTAVIA perché un’avversativa a questo punto è d’obbligo, le prossime due settimane a Parigi, con l’avvio del Roland Garros, potrebbero finalmente consegnare agli appassionati un nuovo corso. Peccato che all’orizzonte si stia profilando un altro impero e nemmeno diviso per tre, quattro nel caso volessimo considerare anche Andy Murray, decisamente meno vincente tra i cosiddetti fab four, ma presente in numerose semifinali e finali degli Slam.

Il nome del prossimo tiranno lo conoscono in tanti: Carlos Alcaraz, diciannove anni compiuti da poco, un’evoluzione tennistica di Nadal e, soprattutto, di Djokovic, in possesso di una serie di colpi che i suoi predecessori hanno acquisito solo col tempo e l’applicazione. Servizio potente, dritto e rovescio che non manifestano alcuna debolezza, gioco di volo impeccabile, aggressività asfissiante e, in più, i colpi difensivi che trasformano un’iniziale passività in un immediato contrattacco. Insomma, un incubo che si è già preso due Master 1000, a Miami e a Madrid, e che in Australia ha subito una delle sole tre sconfitte del 2022, grazie a una grande prova di Matteo Berrettini (assente a Parigi), altrimenti forse staremmo già parlando della nuova era.

CHE IL GIOVANE spagnolo di El Palmar (Murcia) fosse la promessa del tennis mondiale lo si sapeva già da qualche anno. Che arrivasse così presto con un fisico già formato e una testa pronta ad affrontare le grandi imprese sportive, su questo probabilmente solo il suo mentore e allenatore, l’ex numero uno Juan Carlos Ferrero, avrebbe potuto scommettere un paio di euro sicuro di vincere.

Un’ascesa che ha gettato nello sconforto i tifosi italiani, convinti che Jannik Sinner, dopo aver conquistato velocemente una delle prime dieci posizioni mondiali, potesse quest’anno issarsi ai primi posti magari con qualche trofeo in bacheca. Il ventenne di San Candido, peraltro, avrebbe anche disputato fin qui una buona stagione, con qualche infortunio di troppo. Il fatto è che arrivare nei dieci è un conto, superare la barriera dei primi quattro/cinque è un altro. Perché se Alcaraz è già in grado di battere Sascha Zverev e i già menzionati Tsitsipas, Nadal e Djokovic, è anche per una questione fisica oltre che tecnica. Sinner ha necessità di maturare e di potenziarsi, così come accadde persino a Federer e Djokovic (sono noti i numerosi ritiri del serbo a inizio carriera). Non è detto che sia sufficiente, però è un passaggio obbligato che aprirà a sentieri inesplorati. Così come è un’incognita la tenuta a medio e lungo termine dello stesso Alcaraz, perché tanto è misteriosa e impressionante la sua forza, quanto altrettanto complessa è la sostenibilità di un impegno del genere punto dopo punto, partita dopo partita, torneo dopo torneo.

DELLA DUREZZA di questo sport, ne sanno qualcosa la campionessa giapponese Naomi Osaka, indiscutibilmente una delle migliori, se non la migliore tennista al mondo, che legittimamente non riesce a mettere lo sport in cima ai suoi pensieri, o la canadese Bianca Andreescu, altra potenziale numero uno, costretta a saltare intere porzioni di stagioni per la sua fragilità fisica, o Ashleigh Barty, l’australiana che a ventisei anni in cima alla classifica, ha salutato la compagnia perché non aveva più voglia di competere. Ora il tennis femminile, un po’ per il cedimento di alcune giocatrici (Simona Halep, Petra Kvitova, Karolína Pliskova, Victoria Azarenka), un po’ per la difficoltà delle giovani eterne promesse a emergere (Cori Gauff, Amanda Anisimova), si ritrova sorprendentemente (ma fino a un certo punto) nelle mani di Iga Swiatek, imbattuta da ventotto partite, che si traducono in cinque tornei vinti consecutivamente. La ventenne polacca si presenta come la favorita indiscussa a Parigi. Non bisogna dimenticare, però, che l’anno scorso, sia Barty che la stessa Swiatek videro la finale in televisione e non fu un grande spettacolo tra Barbora Krejcikova, l’improbabile detentrice del torneo, e Anastasija Pavljucenkova, arrivata in una finale Slam quando oramai nessuno puntava più sulle sue qualità.

Tornando al torneo maschile, detto che Sinner ha un buon tabellone e che se in salute, giocando il suo tennis eccellente, potrebbe andare molto avanti, di una cosa siamo tutti certi: Nadal e Djokovic, rispettando i pronostici, si affronteranno ai quarti di finale. E se daranno vita a una feroce battaglia sportiva, il vincitore potrebbe scendere in campo due giorni dopo per trovarsi di fronte ad Alcaraz. Una prospettiva non proprio delle più allettanti. Mai scommettere contro Nadal (in lizza per il quattordicesimo trionfo a Parigi) o Djokovic (detentore del torneo), ma quest’anno la terra rossa di Roland Garros potrebbe essere simile a una Bastiglia, per una rivoluzione pronta a trasformarsi in una restaurazione.