«Fuck the money, ha fatto bene». Tariq Ali fu perentorio, quel giorno di giugno del 2012. Julian Assange aveva appena infilato la porta dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, sfuggendo all’udienza con il giudice che doveva valutare la sua estradizione per stupro.

Era libero su cauzione, Assange, e una cauzione pesante: 200mila sterline, messe generosamente a disposizione da un pugno di attivisti di livello mondiale da Ken Loach in giù. Quel giorno di giugno la giustizia della Corona si arricchì, e la persecuzione di Julian Assange cominciò ufficialmente.

IERI L’ATTIVISTA AUSTRALIANO è uscito da quell’ambasciata trascinato di peso, ma l’uomo che è stato gettato nel furgone di Scotland Yard parcheggiato nella piazzetta a Knightsbridge è l’ossuto fantasma di se stesso, la carismatica faccia da schiaffi piegata da anni di autentica carcerazione e specialmente dagli ultimi mesi di isolamento, e da una massa di divieti – niente telefono, web, giornali e riviste – sotto i quali il presidente dell’Ecuador Lenin Moreno ha seppellito il suo illustre e fastidioso compatriota. Sì, perché Julian Assange fino a ieri era cittadino ecuadoriano, e come tale protetto dalla costituzione che vieta le estradizioni. Fino a ieri.

La biografia di Assange è un affare complicato, esiste una discreta quantità di volumi, nessuno dei quali «autorizzato» – compresa l’autobiografia pubblicata nel 2011 in Gran Bretagna da Canongate e in Italia da Feltrinelli: un’autobiografia non autorizzata in effetti suona strano – ma quasi tutti si danno molto da fare per psicanalizzare il personaggio, più che per analizzare la creatura alla quale ha ossessivamente dedicato l’esistenza: WikiLeaks.

JULIAN PAUL ASSANGE è un australiano di Townsville, nel Queensland, nato nel 1971, figlio di due attori teatrali itineranti e nomade fin da piccolo (parla di una trentina di case diverse), trascinatovi dal conflitto tra la madre e il padre, membro di una setta religiosa. Impara più nelle biblioteche pubbliche che a scuola, a metà degli anni ottanta incontra i primi computer, a 16 anni impara a scrivere programmi sul Commodore 64 e con il nickname di Mendax (da «magnifico mentitore», citazione da Orazio) entra nei primordi delle reti informatiche.

A 18 anni diventa padre (segue battaglia legale sulla custodia), a 23 viene accusato di reati informatici e condannato a qualche migliaio di dollari (australiani) di multa, scampando il carcere e collaborando con una ricercatrice universitaria che indagava il mondo sovversivo dell’alba di internet. La creatura che cambia il mondo, WikiLeaks, nasce nel 2006. Il vecchio Mendax, con nuovi nickname e nuovi soci, crea quello che in sostanza è un deposito di sicurezza per le rivelazioni (leaks), in cui è possibile depositare il frutto delle proprie ricerche e renderle pubbliche senza essere identificati.

WikiLeaks cresce in fretta, il celeberrimo video del 2007 di un elicottero americano che mitraglia civili in Iraq è la definitiva consacrazione. Quel giorno il mondo cambia un po’, i giovani guerrieri di WikiLeaks dissestano l’informazione così come l’avevamo conosciuta.

LA PUBBLICAZIONE di milioni di email e documenti governativi soprattutto (ma non solo) americani fanno il resto, esponendo l’inguardabile e l’indicibile agli occhi di chiunque possieda un computer e un telefono. È uno tsunami, il motto hacker della libera circolazione delle informazioni ridisegna la geografia politica e culturale di internet – ma guai a chiamarli hacker, Assange si definisce (e in effetti è) giornalista ed editore. All’inizio lega anche con la grande stampa, in un’alleanza in cui lui mette le notizie e big come il Guardian la loro autorevolezza. Ma il nomadico, umorale e socialmente insopportabile Assange non ci mette molto a litigare, lo stesso Guardian gli si rivolta contro dopo aver pescato a piene mani nel suo scrigno.

E ARRIVA IL NOVEMBRE del 2010, quando Assange annuncia l’imminente pubblicazione di 250mila documenti diplomatici statunitensi: il 18 novembre, prontamente, il tribunale di Stoccolma spicca un mandato di cattura contro di lui per stupro e molestie sulla base delle denunce di due donne. Le coincidenze temporali sono più che sospette, il caso – che verrà archiviato dopo anni – cresce e Assange si presenta a Scotland Yard, dove viene arrestato e rilasciato su cauzione, Ma mentre attende la sentenza sulla Svezia arriva un’altra richiesta di estradizione, questa volta degli Stati uniti, per spionaggio.

Quando la Corte suprema britannica rigetta il suo ricorso contro Stoccolma, Assange si rifugia nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, negli anni l’allora presidente ecuadoriano Rafael Correa gli concederà la cittadinanza mentre altri paesi europei gli negano l’asilo. Ieri l’irruzione di Scotland Yard. Una saga è finita, ne comincia un’altra molto più pericolosa.