A San Lorenzo di Lerchi, sei chilometri da Città di Castello (Perugia), Isabella Dalla Regione, 61 anni, agronoma, coltiva da quarant’anni un frutteto composto da vecchie varietà di piante da frutto alcune delle quali in pericolo d’estinzione. Sui tre ettari trovano posto 500 piante di diverse specie (melo, pero, pesco, susino, ciliegie e altre ancora) per un totale di circa 150 varietà provenienti da Umbria, Toscana, Marche ed Emilia-Romagna. «I grandi cambiamenti intervenuti nel tessuto economico e sociale e in agricoltura negli ultimi decenni», spiega Dalla Ragione, «hanno portato in generale alla scomparsa di gran parte delle varietà locali esistenti. In questa situazione siamo corsi a salvarle – consapevoli che se una varietà scompare, è per sempre – la dove c’erano ancora testimoni diretti, ovviamente sempre meno, oppure nei poderi abbandonati o nei tanti conventi presenti in Umbria. Per identificarle siamo ricorsi a molte fonti d’informazione e documentazione(archivi e biblioteche), cattedre ambulanti di agricoltura, dipinti». «Ci tengo a dire», prosegue Dalla Ragione, «che queste migliaia di varietà locali presenti sul nostro territorio erano il risultato dell’adattamento alle condizioni ambientali e anche della cultura e dell’azione di uomini che per secoli hanno selezionato e scelto in base a criteri diversi da quelli di oggi, come: qualità alimentari, resistenza, produttività, facilità di conservazione».

L’IDEA DI RACCOGLIERE PIANTE DA FRUTTO locali venne al padre di Isabella, Livio, negli anni Sessanta del secolo scorso. Fondatore e direttore a Città di Castello di un piccolo museo delle tradizioni popolari e della cultura contadina durante «le sue ricerche si trovava spesso in conventi o poderi contadini abbandonati», racconta Dalla Ragione, «dove erano presenti delle piante che servivano per la sussistenza delle famiglie. All’inizio trovarono spazio in un piccolo campo. Io mi sono inserita quasi per gioco in tutto questo che poi è diventato il mio lavoro». Nel 1985, insieme al padre, dà vita all’associazione Archeologia Arborea. In un piccolo frutteto-collezione vengono conservate le piante e si fa ricerca. Nel 2014, dopo la morte del padre, Isabella Dalla Ragione, assieme a privati e alcune aziende, trasforma l’associazione in Fondazione Archeologia Arborea Onlus con un suo comitato scientifico formato dall’Università di Perugia, da Bioversity International (la più grande organizzazione internazionale a occuparsi della conservazione e dell’utilizzo della biodiversità per l’agricoltura e la selvicoltura) e dalla Fao-Ufficio per le risorse genetiche.

GIRANDO PER LE 150 VARIETÀ che compongono il frutteto della Fondazione ci si può imbattere in alcune molto particolari e strane. È il caso della mela «muso di bue», coltivata un tempo in tutto l’Appennino umbro-marchigiano perché si conservava a lungo: veniva raccolta in ottobre e si conservava in fruttaio nella paglia o sopra della carta fino alla primavera successiva. La forma di questo frutto, a pera rovesciata, ricorda il muso di un bue. «Essendo così diffusa, era presente in tantissimi quadri del Quattrocento e del Cinquecento; purtroppo gli storici dell’arte», sottolinea Dalla Ragione, «la confondono sempre per una pera». Strana anche la «mela del castagno». Dalla Ragione ci spiega che il nome deriva dal fatto che negli anni ’50 un contadino trovò una pianta di melo all’interno di un tronco cavo di un castagno. Lasciata vegetare produsse mele molto belle che si conservavano sino a maggio. In seguito fu riprodotta da alcuni agricoltori della zona intorno a Citta di Castello.

NON SOLO MELE NEL FRUTTETO-COLLEZIONE della Fondazione Archeologia arborea, ma anche pere particolari come la «marzola», che si raccoglie in pieno inverno a gennaio e si mangia a marzo. «Strano raccogliere pere a gennaio, ma ciò è dovuto al fatto che ha bisogno di freddo per completare il suo ciclo vegetativo. In questi ultimi anni però a seguito dei cambiamenti climatici», fa notare Dalla Ragione con un po’ di amarezza, «ha difficoltà a produrre. Questa varietà è stata probabilmente selezionata nel Medioevo quando vi è stata quella famosa mini era glaciale con lunghi inverni freddi. Temo che sia destinata a scomparire perché non ci sono più le caratteristiche climatiche che fanno al caso suo». Da una varietà da frutto a rischio elevato di estinzione a una invece che è stata salvata per pura fortuna. È il caso del «pero di Santa Veronica». «Nel monastero di Santa Veronica Giuliani a Città di Castello vi era un vecchissimo pero», racconta Dalla Ragione, «dove si diceva che Santa Veronica (1660-1727) nelle notti invernali si legasse ai rami della pianta per penitenza. Negli anni ’80 andai al monastero per farmi dare dalle monache delle marze e quindi riprodurre la varietà. Fu una fortuna, perché alcuni anni dopo la pianta morì. In seguito le suore misero il tronco della pianta morta dentro il reliquiario della Santa. Di fatto ho salvato questa varietà dall’estinzione».

IN QUESTO PATRIMONIO ENORME di varietà antiche «alcune ci sorprendono», ci tiene a sottolineare Isabella Dalla Ragione, «per le loro caratteristiche agronomiche, organolettiche e in alcuni casi nutraceutiche. Tornare a coltivarne alcune significa valorizzare nuovamente il nostro patrimonio culturale e colturale, avere a disposizione una ricchezza genetica utile per il futuro e una grande varietà di sapori e caratteristiche utili per la tavola e la salute».

COME SI SOSTIENE LA FONDAZIONE Archeologia Arborea Onlus? «Attraverso donazioni di privati», dice Isabella Dalla Ragione, «che ci permettono di continuare questa ricerca di vecchie varietà di piante da frutto e di mantenere il frutteto, ma anche da chi adotta una delle piante della collezione. Con questa formula il proprietario, si fa per dire, può raccogliere i frutti, ma, secondo una vecchia tradizione locale, ne deve lasciare tre sui rami: uno per il sole, uno per la terra e uno per la pianta. Tra coloro che hanno adottato delle piante vi sono anche volti noti come gli attori Gerard Depardieu, Bill Pullman, Anna Galiena, Valeria Ciangottini».

L’Indiana Jones delle piante da frutto in pericolo d’estinzione, così è stata più volte definita Isabella Dalla Ragione, non limita la sua attività all’Italia, ma è impegnata come esperta in varie parti del mondo. Con la Fondazione Giovanni Paolo II lavora in Giordania, Palestina e Libano in progetti agricoli. Dal 2011 anche in Russia per la ricerca e la salvaguardia delle antiche varietà di melo russe: prima con il Pastilla Museum di Kolomna (città che dista 110 km da Mosca) e ora con il Museo Tolstoy nella tenuta-frutteto Ysanaya Polyana – in cui visse e fu sepolto lo scrittore Lev Tolstoj – situata a Tula (a 190 km da Mosca).

HA SCRITTO ANCHE DIVERSI LIBRI sull’argomento. Uno su tutti: Tenendo innanzi frutta. Vegetali coltivati, descritti  e dipinti tra ‘500 e ‘700 nell’Alta Valle del Tevere (Petruzzi Editore). In 168 pagine vengono messe a confronto le specie e varietà vegetali, ritrovate da Isabella Dalla Ragione in anni di ricerca, e conservati nel frutteto della Fondazione, con la loro rappresentazione artistica a partire dal Cinquecento quando il Vasari consigliava ai pittori, suoi collaboratori, di tenere ‘innanzi frutte naturali per ritrarle dal vivo’.

Grazie a questa sua dedizione al salvataggio di varietà da frutto locali in pericolo d’estinzione ha ricevuto molti premi. Nel 2009, nell’ambito della Giornata mondiale della biodiversità, gli è stato conferito il premio «I custodi della diversità del Mediterraneo» per la conservazione della biodiversità in agricoltura. Nel 2017 ha ricevuto il prestigioso Premio Nonino-Barbatella d’Oro e nello stesso anno la Menzione speciale dalla Giuria del Premio dell’Unione Europea per i Beni culturali/Europa Nostra 2017. La sua fama non si ferma solo al bel Paese, ma va anche oltre oceano: nel 2016 il New York Times le ha dedicato una pagina.