C’era da aspettarselo, ma la notizia è comunque inquietante. Ricercatori delle università di Catania e di Susa (Tunisia) hanno accertato che all’interno della frutta e delle verdure ci sono centinaia di migliaia (per grammo) di microparticelle di plastica (Environmental Research Volume 187, August 2020, 109677; online 20 maggio 2020).

Si sapeva che microplastiche delle dimensioni di 1-2 micrometri (un micrometro corrisponde a un millesimo di millimetro) si trovano nell’acqua (specie se conservata in bottiglie di plastica), nella birra e negli alimenti di origine animale, soprattutto nei pesci di mare. Averle scoperte anche in mele, pere, carote, lattughe e broccoli è una triste e preoccupante novità mondiale. Come fa la plastica a entrare nei vegetali? Al momento si ipotizza che l’inquinamento sia veicolato dall’acqua assorbita dalle radici. Resta da capire quali possono essere le conseguenze sull’organismo umano e su quello degli animali (dagli insetti fino ai grandi predatori) della presenza di microplastiche nel cibo e nell’acqua. Qualche indicazione preliminare ci viene dall’osservazione che i nanomateriali in carbonio (microparticelle attualmente molto studiate) assorbiti dalle piante arrivano nei semi e nei germogli e ostacolano l’assimilazione di nutrienti essenziali ritardandone la crescita e la fioritura (Hasen et al. J. Nanobiotechnol., 12 (2014), p. 16).

Che fare di fronte all’ennesima conferma che l’inquinamento da plastica sta soffocando il pianeta? In cucina, ad esempio, si può smetterla con le stoviglie e le bottiglie in plastica; utilizzare per infusi e decotti gli ovetti in acciaio da riempire con tè o erbe officinali; comperare sfusi granaglie, semi oleosi, fiocchi di avena, uvetta, albicocche secche, riso integrale, legumi, pasta, detersivi e altro nei negozi del biologico che offrono questa possibilità.
Chissà se Giulio Natta (1903-1979), professore al Politecnico di Milano e unico italiano premio Nobel per la chimica (1963), aveva non dico previsto ma almeno sospettato tutto questo quando scoprì nel 1954 come produrre il polipropilene isotattico, il materiale flessibile, leggerissimo, termoresistente, comodissimo (e, ahimè, indistruttibile) che consentì alla Montecatini, con il nome commerciale di Moplen, di inondare le nostre case di oggetti in plastica. Certo non lo sapeva Gino Bramieri, che nei Caroselli Rai cantava per le casalinghe d’Italia il tormentone: «E mo’, e mo’, e mo’… Moplen!».