Frustati, abusati, arruolati con la forza, feriti. E uccisi. Perché le guerre non rispettano nessuno, neanche chi, come i bambini, è davvero difficile identificare come un nemico. Dall’inizio dell’anno sono più di 500 i minori afgani rimasti uccisi, vittime della riconquista del paese asiatico da parte dei talebani. Un numero destinato purtroppo a crescere come dimostrano gli attentati di due giorni fa all’aeroporto di Kabul ma che, per quanto terribile, rischia di essere nulla rispetto ai tanti minori che in Afghanistan sono in pericolo di vita. «Circa dieci milioni di bambini in tutto il paese hanno bisogno di assistenza umanitaria per sopravvivere» ha denunciato nei giorni scorsi l’Unicef, l’Agenzia dell’Onu per l’infanzia.

Una situazione che la fuga dell’Occidente dal paese asiatico ha reso ancora più grave perché tra i suoi effetti collaterali ha avuto anche quello di provocare un aumento vertiginoso del prezzo dei generi alimentari, soprattutto di grano, riso, zucchero e olio da cucina il cui costo secondo le Nazioni unite è cresciuto del 50 per cento rispetto a pochi mesi fa. La conseguenza è che, secondo la Croce rossa italiana, entro la fine dell’anno undici milioni di persone sono a rischio malnutrizione e, stando ad alcune stime, di questi almeno 5,5 milioni sono bambini. Numero che per Save the Children potrebbe addirittura aumentare a causa dell’interruzione degli aiuti umanitari seguita alla riconquista del paese da parte degli studenti coranici. «Il cibo sarà inaccessibile per molte famiglie a causa dell’aumento dei prezzi, soprattutto per quelle sfollate che vivono con pochissimo» ha denunciato Athena Raybum, responsabile Advocacy della ong in Afghanistan. «Conflitti, siccità e Covid 19 hanno già spinto milioni di bambini alla fame e alla miseria, ma ora sono ancora più vicini all’orlo della carestia».

Da tempo le organizzazioni umanitarie parlano dell’Afghanistan come «il posto peggiore dove vivere per un bambino». Ora è peggiorato ulteriormente. Nel distretto di Shirin Tagab all’inizio di agosto un ragazzo di 12 anni è stato frustato dai talebani nel villaggio di Kohsayyad, nella provincia di Faryb. Non è chiaro cosa abbia fatto per meritare una simile punizione, ma si sa quali sono state su di lui le conseguenze. «Il bambino ha subito ferite alla schiena, alle gambe, ai piedi ed è traumatizzato dal feroce attacco subito», è scritto in una nota dell’Unicef in cui si denuncia quanto accaduto. «La situazione nel paese degenera di giorno in giorno» spiega Andrea Iacomini, portavoce in Italia dell’Agenzia. «Abbiamo evidenze non solo di bambine e bambini feriti e uccisi, ma anche di innocenti ogni giorno reclutati come soldati e vittime di violenze e atrocità di ogni genere». Non stupisce allora che dei genitori possano decidere di affidare i loro figli a dei soldati stranieri, come si è visto nei giorni scorsi all’aeroporto di Kabul, nella speranza che una scelta così difficile possa garantire loro una vita migliore.

L’accelerazione data dai talebani a giugno alla loro avanzata verso Kabul ha inevitabilmente fatto aumentare il numero degli sfollati interni. Più di 500 mila persone dall’inizio dell’anno, secondo l’Onu, sono state costrette a lasciare le proprie case per sfuggire alle violenze e di queste il 60 per cento sono bambini. Persone che vanno ad aggiungersi agli oltre cinque milioni di sfollati già presenti nel paese e alle quali manca tutto: acqua, cibo, servizi igienici, elettricità e medicine. «Nel campo di Haji, nei pressi di Kandahar, si registra la presenza di molte bambine e bambini senza genitori o orfani di entrambi a causa della guerra», denuncia sempre Iacomini.

Per far fronte a questa emergenza umanitaria, Save the Children ha chiesto all’Europa di accogliere e offrire protezione almeno ai minori. Allo stesso tempo l’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, ha lanciato un appello per la raccolta di 24 milioni di dollari per le urgenze umanitarie in attesa dell’1,3 miliardi di dollari che dovrebbe essere messo a disposizione dai vari Stati. «Un alloggio inadeguato e un accesso insufficiente ai servizi igienici hanno portato a condizioni estremamente precarie per le famiglie colpite» ha spiegato Stuart Simpson, capo della missione Oim in Afghanistan,.