Finisce questo Giro con una volata di Sam Bennet, che batte Viviani partito per una volta troppo lungo sui fori imperiali. E con Froome a braccia spalancate davanti al Colosseo.

Si è assistito anche a un mezzo sciopero dei corridori, per via delle buche che rendevano il percorso inadatto a una kermesse conclusiva. Nel maggio ’68 i gregari scioperarono davvero: volevano il salario aumentato nei circuiti a inviti.

Si era partiti da Gerusalemme, e di prestarsi alle esigenze di propaganda di Netanyahu, che ha coperto i suoi massacri con un velo rosa, non se ne sentiva il bisogno. Domenica Roma ha risposto con il Cambiagiro (puntualmente represso), portando in bicicletta le rivendicazioni del popolo palestinese.

Altre ombre. Il trionfatore è sotto inchiesta per un’asma curata con un po’ troppa foga. Fosse un pesce piccolo, di lui non sentiremmo più parlare.

Sul lato sportivo, per il resto, molte luci.

Veniamo da un ventennio di corse ingessate dal tatticismo e dal sistema antisportivo del Pro-tour. Di qui l’eccessiva specializzazione dei campioni, che poi campioni lo sono fino a un certo punto, se in tutto l’anno preparano una corsa.

Già a marzo la vittoria di Nibali a Sanremo aveva iniziato a raccontarci qualcosa di diverso. E poi il volo folle di Froome, solo l’altro giorno, ottanta chilometri in solitaria mentre gli avversari arrancavano alla spicciolata.

Siccome un orologio rotto due volte al giorno ci indovina, un po’ di merito va anche alla Uci, che ha ridotto il numero dei componenti delle squadre.

L’ideale sarebbe il ritorno ai grandi giri per le nazionali. Desgrange, a metà degli anni ’30, lo propose per il Tour proprio per scardinare il tatticismo che già allora imponevano alle squadre gli sponsor privati.

Per il resto, il mezzo è sempre lo stesso, e sempre lo stesso lo scenario. Sempre gli stessi i nonni ed i nipoti ad aspettare per le strade.

E i campionissimi che vivono in una dimensione parallela, il loro fiato sempre sul collo di chi pedala qui e ora.

Chi irrompe in riviera per S. Giuseppe non rincorre solo la vittoria sua, ma anche Girardengo che è scappato sul Turchino. Chi si gioca la maglia rosa tra Cuneo e Pinerolo, sa che davanti a lui c’è un uomo solo al comando. Chi scollina il Galibier, sa che di lì è già passato un giovane romagnolo dalla faccia antica. Chi stacca tutti al Lombardia non può stare tranquillo, perché dietro la Dama Bianca ha fatto imbufalire Magni.

E in questa lotta eterna con la propria memoria sta la dolce maledizione del ciclismo.