Dopo l’Austria, la Slovenia. E poi a ruota, anche se non appartengono all’area Schengen, anche Croazia e Serbia si preparano a chiudere i propri confini per fermare i migranti. Cosa che potrebbe accadere già nei prossimi giorni. Il temuto effetto domino che porta al ripristino dei controlli ai confini nazionali – rendendo così sempre più precaria la libera circolazione – si sta verificando sotto lo sguardo preoccupato di una Bruxelles che appare incapace di arginare la voglia di chiusura dei singoli Stati. Sabato era stato il cancelliere austriaco Werner Faymann ad attaccare l’Ue accusandola di non essere capace di proteggere le sue frontiere esterne e costringendo per questo Vienna a chiudere le sue per mettere fine al flusso di rifugiati. Ieri è stata la Slovenia ad annunciare di essere pronta a fare la stessa cosa se i suoi «interessi nazionali venissero messi a rischio». Subito seguita dalla Croazia. L’ingresso di Zagabria nell’area Schengen sarebbe previsto per il 1 luglio, ma il nuovo governo di centrodestra che si insedierà a giorni si è già detto pronto a seguire l’esempio di Lubiana. «Non permetterò che la Croazia diventi un hot spot per i migranti» ha proclamato Tomislav Karamarko, probabile prossimo vicepremier. Infine, in serata, stesso annuncio è arrivato anche dalla Serbia, seppure con toni più moderati. «Continueremo a rispettare i diritti umani dei migranti e a garantire i massimi standard possibili – ha spiegato il ministro delle politiche sociali Aleksandar Vulin – ma ci comporteremo a seconda di come si comporteranno gli altri paesi nella rotta migratoria». Tutto questo mentre la Macedonia ha quasi finito la costruzione del suo muro metallico ai confini con la Grecia.
E’ un’Europa sempre più spaventata nel vedere sbriciolarsi giorno dopo giorno ogni parvenza di unità, quella che si prepara ad affrontare un 2016 irto di pericoli. Il prossimo 25 gennaio a Bruxelles è previsto un nuovo vertice di ministri degli interni in cui la questione migranti terrà ancora una volta banco. Ma le divisioni sono forti. L’Italia si presenterà con una sua proposta sui ricollocamenti dei richiedenti asilo, visto il fallimento del sistema messo a punto dalla commissione Ue (meno di 200 profughi ricollocati su 160 mila). In particolare si chiederà di sveltire le procedure burocratiche, oggi particolarmente complesse e per questo usate come scusa da quegli stati che non intendono accogliere i migranti. Ma si proverà anche a far entrare che arriva dall’Afghanistan tra coloro da ricollocare (insieme a siriani, eritrei e iracheni) visto che si tratta comunque è un paese ancora in guerra. Sarà dura.
La sopravvivenza di Schengen è anche uno dei punti del dossier messo a punto dalle europarlamentari Cecile Kyenge (Pd) e Roberta Metsola (Pp) presentato ieri sera a Strasburgo e in cui si torna chiedere un rafforzamento dei confini esterni dell’Ue e l’istituzione di corridoi umanitari per i migranti. L’atteggiamento di molti governi è però sempre più teso alla chiusura e non è escluso che a discutere del destino di centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini in fuga dalla guerra saranno due, o forse tre fronti contrapposti. Da una parte c’è infatti il blocco di Visegrad (Polonia, Ungheria, repubblica Ceca e Slovacchia) il più tenace sostenitore di una politica di chiusura verso i migranti. Ma si profila anche la possibilità di un nuovo gruppo di paesi – che si è già battezzato dei «volenterosi» -, che sull’onda di quanto proposto prima dall’Olanda e più recentemente dalla Germania, punta a costituire una mini-Schengen. Ne farebbero parte Germania, Olanda, Belgio, Lussemburgo, Francia e Austria. Blocco che lascerebbe fuori Italia e Grecia, considerate responsabili di non aver attivato gli hot spot. Un’ipotesi che a Palazzo Chigi viene vista come il fumo negli occhi anche se per ora si evita ogni commento. Volendo, infine, si potrebbero aggiungere Macedonia, Slovenia, Croazia e Serbia, i paesi della rotta balcanica che già si vedono in separata sede. Più che l’Unione europea, un puzzle in cui tutti si guardano con sospetto.
Il paradosso è che chi, come la Gran Bretagna, fino a ieri era criticato per le sue misure contro i migranti, adesso appare quasi come un modello da seguire. La cancelliera tedesca Angela Merkel non sarebbe infatti più contraria ad adottare alcune delle proposte del premier Cameron come la sospensione per quattro anni di ogni forma di welfare per i migranti che arrivano nel Regno unito. E come lei sarebbero favorevoli anche altre capitali.