Dopo dieci anni di servizio Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere, si prepara ad andare in pensione per lasciare il posto a una nuova Agenzia europea di guardie di frontiera e di guardia costiera. A volerlo è la commissione europea che martedì prossimo presenterà l’iniziativa a Strasburgo. «E’ una mossa coraggiosa perché l’accordo di Schengen non sia messo in discussione», ha spiegato ieri la portavoce della commissione, Margaritis Schinas. Il nuovo corpo, che sarà alimentato da guardie di frontiera provenienti dagli stati membri, è pensato per intervenire nelle emergenze, in tutti quei casi in cui le forze di polizia di un paese non siano in grado di far fronte ad arrivi in massa di migranti ai propri confini. Non potrà però agire autonomamente, ma solo su richiesta del Paese interessato.
L’idea di una guardia di frontiera e guardia costiera europea è nata a settembre, nel corso di uno dei tanti vertici sulla crisi dei migranti e quando centinaia di migliaia di profughi già da mesi marciavano sulla rotta balcanica diretti principalmente in Germania e Svezia. L’iniziativa è parte del piano pensato dall’Ue, che conta di realizzarlo nel giro di un anno e di cui fanno parte anche i finanziamenti alla Siria e alla Turchia (già stanziati) e la revisione del regolamento di Dublino. Ma soprattutto rientra nella politica scelta da Bruxelles di rafforzare al massimo i confini esterni dell’Unione (arrivando perfino a esternalizzarli come succederà in seguito all’accordo siglato con Ankara), riuscendo così a garantire la sopravvivenza della libera circolazione attraverso quelli interni.
Resta da vedere quali saranno i compiti della nuova Frontex. Probabilmente quello di raccogliere in mare i migranti portandoli in salvo direttamente negli hotspot che in via di realizzazione in Italia e Grecia, dove personale di Frontex e dell’Easo, Ufficio europeo per il diritto di asilo, già operano per identificare quanti sbarcano dividendoli tra richiedenti asilo e migrati economici. Ipotesi avvalorata anche da quanto affermato ieri da Dimitris Avramopoulos: «Creiamo un’agenzia di polizia e di guardia costiera europea comune per difendere le frontiere e offrire allo stesso tempo sostegno ai migranti – ha spiegato il commissario Ue all’Immigrazione intervenendo alla Conferenza sul Mediterraneo in corso a Roma -, con un mandato di ricerca e salvataggio e collegati agli hotspot da gestire come punti di ingresso, in modo tale che nessuno entri senza rispettare le nostre leggi e le nostre norme». Una risposta alle pressioni di quei paesi, che – a partire dal gruppo di Visegrad ma non solo – innalzano muri e ripristinano i controlli alle frontiere pur di fermare i migranti, mettendo così a rischio la stessa sopravvivenza di Schengen.
Riusciranno le nuove guardie di frontiera a contenere il malumore dello schieramento di tutti quei paesi restii a investire soldi e mezzi per i migranti? Difficile dirlo, anche perché la sicurezza dei confini fa parte di quelle materie di esclusiva competenza degli Stati molti del quali, se non proprio tutti, non gradirebbero eventuali interferenze da parte di Bruxelles. Proprio per questo ieri fonti diplomatiche europee ventilavano l’ipotesi, a quanti pare voluta soprattutto da Germania e Francia, di poter «imporre» l’invio delle guardie di frontiera «anche ai paesi riluttanti».
Intanto si è avuta notizia dell’ennesimo esempio delle conseguenze provocate dall’accordo siglato con Ankara. 600 migranti sono stati fermati negli ultimi due giorni dalla polizia lungo le coste egee della Turchia mentre cercavano di imbarcarsi diretti verso le isole greche. Undici i presunti scafisti arrestati. Da quando l’accordo è diventato operativo, una settimana fa, sono almeno tremila le persone fermate dalla Turchia mentre cercavano di raggiungere l’Europa.