Non è una guerra di religione. È questa la tesi che trova l’accordo dei governatori dei 36 Stati nigeriani al termine di un vertice sulla sicurezza nazionale presieduta dal presidente Goodluck Jonathan: «Abbiamo convenuto che la guerra di Boko Haram non è una guerra di religione e quindi è una guerra contro tutti i nigeriani e come tale dovrebbe essere trattata», recita il comunicato stampa diramato al termine della tavola rotonda tenutasi ieri tra i capi della sicurezza, ministri, governatori e leader religiosi incontratisi per discutere della crescente insicurezza nel Paese a seguito dei recenti attacchi di Boko Haram degli ultimi mesi, tra i quali, circa 10 giorni fa, l’autobomba alla stazione degli autobus di Abuja e il rapimento di 235 studentesse a Chibok, nello Stato del Borno.

Attacchi che confermano da un lato il gruppo islamista Boko Haram quale vettore di destabilizzazione del più grande produttore di petrolio del continente noir e dall’altro tutta l’incapacità del governo nigeriano di elaborare non solo una soluzione politica ma anche militare agli atti di terrore contro le popolazioni locali.

«La questione del momento» – come l’ha definita il governatore dello stato dell’Ekiti, Kayode Fayemi, è proprio il rapimento il 14 aprile scorso delle circa due centinaia di ragazze di età compresa tra i 16 e i 18 anni per cui il governo di Goodluck Jonathan è stato ampiamente criticato.

Una risposta debole sarebbe stato l’agire da parte delle autorità, contraddistinto dagli strali incrociati tra i partiti al potere e quelli all’opposizione più che da un fronte comune atto a frenare o quantomeno a discutere termini e modalità per affrontare l’avanzata da Nord – a maggioranza musulmana -a Sud – a maggioranza cristiana – di Boko Haram.

Scontri politici che hanno visto il People’s Democratic Party (Pdp), attualmente al potere, accusare di collusione con il gruppo integralista i leader dell’opposizione, l’All Progressive Congress (Apc), a sua volta impegnati in una campagna di condanna contro il governo e le politiche fallimentari di lotta alle insurrezioni che con graduale intensificarsi da almeno da 5 anni attanagliano la Nigeria.

E quasi a voler dare una risposta di tono alle critiche recenti e a smorzare quelle sulla campagna militare – costosa e fallimentare lanciata un anno fa da Jonathan negli stati del Nord-Est del Borno, dello Yobe e dell’Adamawa – dal vertice si è alzato un appello unanime, una chiamata collettiva a fare fronte comune contro la minaccia Boko Haram.

Ma, a meno che i governi federali e quello statale non si impegnino concretamente in un’azione radicale non solo militare ma anche politico-sociale, resta indubbio al momento il perseverare dell’azione destabilizzatrice di Boko Haram.