L’8 agosto 1998 i Talebani presero la città afghana di Mazar-e Sharif. Nel massacro morirono anche 11 iraniani: dieci diplomatici e un giornalista. A Teheran, il presidente riformatore Muhammad Khatami fu obbligato a spostare carri armati e soldati sul confine orientale.

Sono trascorsi 23 anni e l’incubo talebano incombe di nuovo sugli iraniani. Se ieri gli integralisti dell’Afghanistan hanno preso la città di Sheberghan nella provincia nord di Jawzjan, venerdì a cadere nelle loro grinfie era stata Zaranj, nella provincia sudovest di Nimroz, sul confine con l’Iran. Con l’ultraconservatore Raisi come presidente la situazione torna drammatica.

IL FRONTE OCCIDENTALE non desta meno preoccupazioni, perché in Iraq sono stanziati i soldati statunitensi. E ancora, i pasdaran sono sotto pressione a sud: le acque del Golfo persico sono sempre più turbolente. Secondo i periti statunitensi sarebbe made in Iran il drone che il 29 luglio ha ucciso due membri dell’equipaggio (un cittadino britannico e un rumeno) della petroliera MT Mercer Street.

Teheran rimanda le accuse al mittente, dicendo che si tratta di «un complotto israeliano per mettere in cattiva luce la Repubblica islamica alla vigilia dell’insediamento del presidente Ebrahim Raisi».

Il generale Abolfazl Shekarchi ha fatto notare che «gli americani dicono di aver trovato parti di droni iraniani in acqua, questa è la loro prova. Ma quale laboratorio ha deciso che i droni appartengono all’Iran? È il metodo degli americani: tessono storie e le usano per accusare l’Iran, fanno così per metterci sotto pressione».

È in questo difficile contesto internazionale che il 5 agosto il neopresidente iraniano Ebrahim Raisi ha prestato giuramento in parlamento in una cerimonia a cui hanno partecipato anche i diplomatici stranieri e un rappresentante dell’Unione europea.

La prossima settimana, Raisi presenterà i propri ministri ai 290 deputati che molto probabilmente ne approveranno le scelte perché di certo concordate in anticipo con il leader supremo Ali Khamenei. Secondo indiscrezioni, il ministero degli Esteri potrebbe andare al diplomatico di lungo corso Hossein Amir Abdollahian, che gode dell’appoggio dei pasdaran.

IN QUESTA SITUAZIONE, la questione atomica non sembra urgente: sarà necessario sbloccare la situazione per far ripartire il business e risollevare l’economia, ma i negoziatori sul nucleare possono aspettare. Soprattutto se, incalzata da Israele, l’amministrazione Biden insiste tanto sull’includere nell’accordo un drastico stop al programma balistico: i missili non sono negoziabili, servono a difendere l’Iran contro nemici che incalzano e fanno danni.

Pensiamo all’assassinio del generale Soleimani nell’aeroporto di Baghdad a gennaio 2020, i numerosi attentati in cui hanno perso la vita gli scienziati nucleari iraniani, le operazioni di sabotaggio agli impianti nucleari ed elettrici.

Il governo di Raisi dovrà prestare attenzione anche alle numerose sfide sul fronte interno, non ultime la siccità e le proteste. La pandemia non dà tregua, complice la scarsità dei vaccini. Il 19 agosto ricorre il decimo giorno del mese islamico di muharram.

Per i musulmani sciiti è Ashura, il giorno dell’espiazione in cui si commemora il massacro dell’Imam Hossein, nipote di Maometto attraverso la figlia prediletta Fatima, e dei suoi uomini nella piana di Kerbela, una cittadina che oggi si trova in Iraq.

Da secoli gli sciiti ricordano il giorno in cui è per la prima volta sparso il sangue del Profeta, con le processioni dei flagellanti: difficilmente una simile cerimonia potrà aver luogo quest’anno. Per ayatollah e pasdaran sarà un’occasione perduta, «ogni giorno è Ashura, ogni luogo è Kerbela» è uno degli slogan della Repubblica islamica: serve a ribadire che gli sciiti sono sempre vittime.