Beppe Grillo dovrebbe sbrigarsi a fare qualcosa con i suoi parlamentari, se non vuole ritrovarsi con consensi dimezzati alle prossime elezioni, che certo non saranno fra 5 anni. Questo ci dicono i numeri del Friuli, più significativi di quanto si possa normalmente ricavare da un’elezione regionale: a un’attenta lettura prefigurano uno scenario inquietante per i 5Stelle. Il punto di partenza sono quei 196.218 voti (27,2%) ottenuti il 25 febbraio scorso nella circoscrizione Friuli. Quei voti, lunedì, sono diventati 103.133 (19,21%), ovvero si sono dimezzati in cifra assoluta.

Dove sono andati? L’affluenza alle urne alle politiche è stata del 77,2%, alle regionali del 50,5%, un dato mai raggiunto in Italia. In meno di due mesi, l’astensionismo è cresciuto di quasi il 27%, cioè più di un cittadino su tre fra quelli che avevano votato il 24-25 febbraio, stavolta si è astenuto. Questo massiccio rifiuto del voto (a cui va sommato un numero consistente di schede bianche e nulle) ci dice che si tratta di un astensionismo di protesta, non di semplice disaffezione.

E l’astensione ha colpito il M5S: mentre il suo candidato Saverio Galluccio perdeva 93.000 voti rispetto a due mesi fa, Debora Serracchiani, la candidata Pd, ha guadagnato 13.000 voti rispetto a quelli ottenuti da Bersani in febbraio. E Renzo Tondo, il presidente uscente della Regione, ha guadagnato 8.000 voti rispetto alle politiche. Quindi l’elettorato di Pd e Pdl sostanzialmente ha tenuto, nonostante tutto quello che è successo negli ultimi dieci giorni (Serracchiani ha commentato che se non ci fossero state le votazioni per la presidenza della Repubblica il centrodestra in Friuli sarebbe stato «asfaltato»). I due partiti maggiori hanno probabilmente beneficiato della scomparsa della lista Monti (92.000 suffragi alle politiche) ma anche molti di questi elettori si sono rifugiati nell’astensione.

Grillo non ha trascurato il Friuli: al contrario, mentre a Roma si votava per il presidente lui faceva comizi in tutta la regione. Se lo Tsunami tour stavolta è fallito ci devono essere ragioni politiche. Queste ragioni politiche sembra logico identificarle nelle occasioni perdute dal M5S in questi due mesi: prima ha sprecato l’occasione di indicare un proprio candidato premier accettabile anche per il Pd e un programma minimo condiviso che potesse creare un governo in tempi rapidi con Berlusconi e Monti all’opposizione. Poi ha lasciato che il Pd sprofondasse nelle sue contraddizioni (facilmente prevedibili) rinunciando all’occasione di votare per Romano Prodi nella votazione in cui sarebbe stato possibile eleggerlo. Un presidente odiato da Berlusconi e contrario agli inciuci non sarebbe stato un risultato apprezzabile? Continuando a votare per la rispettabilissima candidatura di bandiera di Rodotà, il M5S ha ottenuto ciò che voleva dimostrare sin dall’inizio, che tutta la «casta» voleva il governissimo, ma il prezzo di questo risultato è stato di apparire ai cittadini del tutto ininfluente.

Quanto meno in Friuli, questa linea di rifiuto del «far politica» è stata giudicata negativamente dagli elettori e non c’è molto da riflettere sul perché: una parte rilevante del consenso alle politiche veniva da elettori delusi dalla sinistra ma anche dalla destra, cittadini che volevano che si facesse qualcosa subito, che si mettesse un termine alla disastrosa esperienza del governo Monti. Era una richiesta urgente, un appello di chi non ce la fa più: i tempi della società non sono i tempi della politica. Questi elettori, se non ci fosse stato Grillo, si sarebbero divisi in varie direzioni: alcuni avrebbero votato per il «meno peggio» ma la maggioranza avrebbe disertato le urne o stracciato la scheda. Grillo ha svolto alle politiche una funzione utile e meritoria offrendo loro una ragione per votare ma sta sprecando le occasioni di dimostrare che quel voto ha avuto un senso. Forse dovrebbe riflettere su quanto fatto fin qui.