Tutti contro tutti. Gli interrogatori di garanzia della gip Donatella Banci Buonamici del Tribunale di Verbania ai tre indagati per la strage della funivia Stresa-Mottarone finiscono con un rimpallo di accuse. Il caposervizio ammette l’uso dei forchettoni ma dice di avere informato i superiori, il direttore sostiene, invece, di non avere mai saputo di questa operazione «scellerata» e il gestore precisa che la sicurezza non era affare suo, bensì degli altri due.

PARTIAMO da Gabriele Tadini, il primo a essere interrogato, il caposervizio dell’impianto di risalita, colui che con la sua ammissione ha segnato, nella notte tra martedì e mercoledì, la svolta delle indagini coordinate dalla procuratrice Olimpia Bossi. Difeso dall’avvocato Marcello Perillo, ha ammesso di aver inserito il forchettone per inibire i freni e di averlo fatto anche altre volte per ovviare al problema «manifestato dalla centralina della pompa frenante», segnalato da oltre un mese. Ha, inoltre, sostenuto che le anomalie dell’impianto non erano collegabili alla fune trainante. «Non sono un delinquente. Non avrei mai fatto salire persone se avessi pensato che la fune si spezzasse».

GIÀ NEL PRIMO VERBALE davanti ai pm, Tadini aveva dichiarato che la scelta di mettere i forchettoni ai freni sarebbe stata avallata dal gestore, Luigi Nerini, e dal direttore di esercizio, Enrico Perocchio. Quest’ultimo ha, però, strenuamente negato il fatto: «Non sapevo dell’uso dei forchettoni. Non salirei mai su una funivia con ganasce. Quella di usare i forchettoni è stata una scelta scellerata di Tadini», ha affermato Perocchio, in base a quanto riferito dal suo legale Andrea Da Prato. L’ingegnere, che oltre alla funivia del Mottarone dirige anche quella di Rapallo, avrebbe saputo dell’utilizzo dei forchettoni solo alle ore 12,09 del giorno dell’incidente, quando ha ricevuto una telefonata dal caposervizio, che diceva: «Ho una fune a terra, la fune è nella scarpata, avevo i ceppi sopra». A Perocchio era stato precedentemente segnalato il problema al sistema dei freni di emergenza e lui «come dipendente Leitner (la società addetta alla manutenzione) aveva attivato le ditte» per intervenire e risolverlo. Il suo legale ha sottolineato che, non essendo un dipendente delle Ferrovie del Mottarone, non avrebbe avuto i «motivi economici», come contestato dai pm, per far viaggiare la funivia anche coi freni disattivati.

L’ULTIMO A ESSERE interrogato dalla gip è stata Luigi Nerini, il gestore della funivia e proprietario dell’azienda Ferrovie del Mottarone. «La sicurezza non è affare dell’esercente», ha dichiarato, secondo quanto riferito dal suo legale, l’avvocato Pasquale Pantano. «Per legge erano Tadini e Perocchio a doversene occupare», mentre il suo compito era seguire «gli affari della società». E, al proposito, non avrebbe avuto «nessun interesse a non riparare la funivia». Ha poi detto che lui non «poteva fermare la funivia» e che sapeva che c’erano problemi ai freni e che era stata «chiamata per due volte una ditta», ma non che venissero usati i forchettoni per disattivarli. Il potere di chiudere la funivia, ha ribadito, «non era suo, lui poteva fermarla solo se mancava il direttore di esercizio».

Nella richiesta della Procura di Verbania di custodia in carcere per i tre fermati al vaglio della gip era segnalato «il rischio di accordi collusivi tra Nerini e Perocchio, finalizzati ad addossare tutte le responsabilità in capo a Tadini». Sui tre pendono le accuse di omissione dolosa di cautele aggravata dal disastro, omicidio colposo per le morti di quattordici persone e lesioni colpose per il ferimento del piccolo Eitan. A cui si aggiunge il falso per Tadini per non aver scritto nei registri i rumori sospetti, sentiti il giorno dell’incidente e quello prima, riconducibili «alla presumibile perdita di pressione del sistema frenante della cabina che si ripeteva ogni due-tre minuti», e di non averli segnalati all’Ustif del Piemonte (l’Ufficio speciale per i trasporti ad impianti fissi collegato al ministero dei Trasporti).

Rimangono tuttora aperti gli interrogativi sulla rottura del cavo trainante, considerata un evento rarissimo. Era danneggiato nonostante i controlli (del gestore e di società private terze) e il vaglio degli organi pubblici non avessero riscontrato problemi? Gli accertamenti proveranno a dare una risposta. L’ipotesi è che si sia staccato dalla testa fusa, la parte attaccata alla cabina.

OGGI, IL PIEMONTE ricorda le vittime del Mottarone con – in base a un ordinanza del governatore Alberto Cirio – un minuto di silenzio alle 12, l’ora della tragedia. Sono stabili le condizioni di Eitan, il bambino di 5 anni unico sopravvissuto; ricoverato all’ospedale infantile Regina Margherita di Torino resta in prognosi riservata.