Vittorio Arrigoni. Tra noi c’è chi lo ha conosciuto direttamente, chi grazie ai suoi scritti e video, chi attraverso la generosa famiglia; c’è anche chi ha portato, come lui, il proprio contributo alla causa operando in territorio palestinese, e proprio per questo ha vissuto il suo rapimento e il successivo assassinio come un fulmine che schianta la terra a pochi metri di distanza.

Stile sobrio, per nulla contaminato dall’odio verso chicchessia, neppure nei confronti di chi lo ha incarcerato e indicato come «target», laicamente internazionalista, ancorato ai valori universali della Resistenza, forte della semplice descrizione della realtà, prima e dopo il massacro di Piombo Fuso, quando, da unico cronista «straniero», ha raccontato quotidianamente, per il manifesto, una punizione collettiva, per altri mezzi di informazione trascurabile.

Le azioni delle Flottiglie, come il lavoro di chi, a vario titolo, tiene desta l’attenzione su una questione che ormai ha superato la dimensione politica per entrare nel quadro della violazione dei diritti umani, sono necessarie a causa del disinteresse nell’applicazione del diritto internazionale; impianto di norme che, come si sa, non potendo contare su una propria forza coercitiva, viene fatto rispettare, solo quando loro conviene, dai Paesi in grado di farlo.

Così è accaduto, e sta accadendo, che Israele, nonostante le decine di risoluzioni Onu non rispettate, venga continuativamente trattato come si conviene a una controparte in regola coi dettami della civile convivenza tra le nazioni; allo stesso tempo, i medesimi governi che distribuiscono le patenti di democraticità agli altri, decidono di richiamare, sanzionare, avallare interventi militari, il tutto a carico di popoli semplicemente non allineati alle loro politiche, a volte solo colpevoli di aver votato un partito inopportuno (è quanto successo ai Palestinesi che alle elezioni del 2006 fecero vincere Hamas anziché il concorrente più gradito a UE e USA, Al Fateh di Abu Mazen).

È questa la contraddizione che la prossima missione della Freedom Flotilla Coalition, la FF3, vuole far emergere dalle acque del Mediterraneo orientale a giugno. La sola esistenza di un attivismo internazionale (dalla Scandinavia all’Italia, dal Canada al Sudafrica, dalla Spagna alla Turchia, dalla Grecia agli Stati Uniti) determinato a far valere i diritti di un popolo oppresso (acqua, terra, movimento, pesca, educazione, salute), significa gridare agli organismi preposti di mettere fine all’aberrazione costituita dalla più grande prigione a cielo aperto del mondo, sia per dimensioni (360 km²) che per popolazione carceraria (1.700.000 persone); e ciò vale indipendentemente dal fatto che le barche arrivino al porto di Gaza, come riuscì a Vittorio nell’agosto 2008 a bordo delle prime imbarcazioni internazionali che sfidarono il blocco militare di Israele, oppure no, come da anni il governo israeliano determina attraverso vari metodi: facendo pressioni ai porti europei di partenza, intercettando le imbarcazioni in acque internazionali, assaltando i passeggeri disarmati, uccidendoli, sequestrando le barche.

Scrive Vik: «Il nostro messaggio di pace, è un invito alla mobilitazione per tutte le persone comuni, a non delegare la vita al burattinaio di turno, a prendersi di petto la responsabilità di una rivoluzione, rivoluzione interiore innanzi tutto, verso l’amore, l’empatia, che di riflesso cambierà il mondo».

Non è necessario fare grossi sforzi per prendere parte; anche solo documentarsi sarebbe far qualcosa. Sul sito freedomflotilla.it si possono trovare diversi spunti per partecipare al nuovo tentativo di liberare Gaza dal blocco israeliano imposto ormai da 9 anni: un disegno per una scuola, il gemellaggio di un porto, l’interesse per il prodotto di una tessitrice della Striscia, la firma su una petizione on-line. Sembra poco, ma quando le nostre navi si avvicineranno alle acque palestinesi, con la marina militare israeliana che punterà le sue armi contro persone pacifiche, farà piacere sapere di avere alle spalle tanta umanità. Vittorio è già là, al porto di Gaza, ad aspettarci.