Fredric Jameson, la prassi del lavoro culturale
Fredric Jameson è morto domenica scorsa all’età di novant’anni. Era nato a Cleveland, Ohio, nel 1934 e si era formato a Yale, dove aveva completato gli studi dottorali nel 1959. Erich Auerbach e Herbert Marcuse, tra gli altri, figurano tra i suoi mentori e maestri. Personalità imprescindibile del marxismo contemporaneo, legato inestricabilmente al pensiero dialettico, Jameson ha attraversato il Novecento e le prime due decadi del nostro secolo concependo le rappresentazioni culturali come sintomi complessi di dinamiche storiche profonde. Il suo lavoro, basato su un confronto costante con le tradizioni di pensiero antiche e moderne, e su un incessante corpo a corpo con le proposte teoriche coeve, nel segno di una generosità intellettuale senza limiti («di lui si può dire che nulla di culturale gli sia estraneo», sentenziò Colin MacCabe evocando Terenzio), costituisce la punta ultima e avanzata di quel «marxismo occidentale» che Perry Anderson ha contribuito a storicizzare e che Jameson ha in larga parte rifondato e rimesso in piedi.
AVEVA ESORDITO con Sartre. The Origins of a Style (1961), un’analisi della produzione letteraria e teatrale del filosofo francese che potremmo rubricare sotto il rispetto della critica stilistica, indirizzo presto abbandonato (ma non dimenticato). Negli anni Sessanta, complice un soggiorno europeo, avviene difatti l’incontro con Marx e con la teoria critica: Jameson diviene un lettore accanito della tradizione dialettica, si nutre di Hegel (l’altro grande autore della sua vita), legge e interpreta il Lukács di Teoria del romanzo e dei contributi sul realismo, si imbatte in Adorno, Benjamin, Bloch, Goldmann. L’esito di questo apprendistato è Marxismo e forma, uscito nel 1971 e tradotto in italiano nel 1975 per Liguori e collocato in un’importante collana curata, tra gli altri, da Giancarlo Mazzacurati, con una significativa (ma anche problematica) introduzione di Franco Fortini, che sottolineava anzitutto i meriti politici dell’opera. Che consistevano nel portare all’attenzione dell’adialettico ed empiricista pubblico anglosassone (nello specifico, statunitense) i frutti maturi della tradizione dialettica, la sola per Jameson in grado di comprendere la particolare congiuntura storica in corso, che di lì a poco, proprio grazie al suo pensiero, avremmo definito postmoderna.
Marxismo e forma, che conteneva una proposta metodologica destinata solo in parte ai critici letterari di professione, e rivolta anzitutto a intellettuali e teorici militanti, costituisce la piena formulazione teorica del «metacommentario»: l’idea che il marxismo, ambendo a materializzare e storicizzare gli altri codici interpretativi, trascini questi ultimi sul terreno della Storia, garantendone sì la validità locale ma mostrandone nello stesso tempo i limiti e le pulsioni autoreferenziali e antistoriche. Il metacommentario marxista veniva inteso, insomma, come un correttivo dialettico capace di situare storicamente fenomeni culturali e categorie di comprensione.
È CON «L’INCONSCIO POLITICO», uscito nel 1981 e tradotto nel 1990 in italiano per Garzanti, che la teoria letteraria e culturale di Jameson raggiunge uno dei risultati più alti. Oggetto di accese dispute, il libro – purtroppo dimenticato nel nostro paese – ha almeno due grandi meriti: ripropone, in un momento di consistente espansione del privatismo e della logica individualistica in Occidente, l’idea di un’inaggirabile storicità e universalità dei fatti culturali, restituendo alle pulsioni autonomistiche dei saperi (in fase di piena accademizzazione) una dimensione umana e politica; sostiene una critica della cultura che insista sul nesso, tutto moderno, tra superficie e profondità, cogliendo in quest’ultima la traccia nascosta di un orizzonte storico-materiale compresso o represso, ma appunto onnipresente perché insuperabile (secondo la lezione della Critique di Sartre, altro testo fondamentale per Jameson). Contro le derive anti-teoriche e anti-interpretative, animate dal nichilismo del paradigma decostruzionista, l’intellettuale americano, che di lì a poco sarebbe approdato alla Duke University, faceva valere un materialismo ricco e complesso, una fiducia nella capacità della dialettica di allargare il quadro, di mirare a una totalità storicamente piena. Fu ancora una volta Fortini, nel nostro paese, a capirne l’importanza: all’Inconscio politico dedicò alcune riflessioni e anche diverse lezioni universitarie.
Sono, del resto, gli anni in cui Jameson lavora al libro che lo ha reso noto nel dibattito internazionale, Postmodernismo. Ovvero, la logica culturale del tardo capitalismo (uscito nel 1991 e tradotto con questo titolo da Fazi nel 2007), una cui anticipazione era uscita nel 1984 sulla «New Left Review», pubblicata qualche anno dopo in forma di libretto da Garzanti grazie al lavoro di Stefano Velotti. Fu proprio questo assaggio editoriale – che sarebbe divenuto il primo capitolo del libro uscito nel ’91 – a penetrare nel dibattito italiano, letto come possibile contraltare materialista e dialettico alle tesi deboliste di Gianni Vattimo. Non si può dimenticare la mediazione fondamentale di due critici in dialogo costante (e non sempre pacificato) con Jameson, Remo Ceserani e Romano Luperini, ai quali si devono le migliori pagine critiche sul suo pensiero, che raggiunge in Italia una buona diffusione proprio tra gli anni Novanta e i primi Duemila.
LA TESI di Postmodernismo permetteva, del resto, di leggere in chiave materialistica fenomeni che il nostro paese avrebbe conosciuto proprio in quella particolare congiuntura: l’avanzata di un nuovo sensorio fondato sulla superficialità, la crisi del sapere critico, l’americanizzazione su larga scala dei consumi culturali, la perdita di profondità e la manomissione dell’estetica politica – «sintomi» che Jameson invitava a interpretare non come mere occasioni ma come risposte ideologiche favorite dall’ultima grande modificazione sistemica del capitalismo multinazionale, ribadendo la centralità analitica del nesso struttura-sovrastruttura, pur riletto secondo una dialettica capace di mettersi costantemente in gioco e in posizione di verifica.
In tal senso, un libro come Tardo marxismo (1990), dedicato al pensiero di Adorno, o un testo come Brecht e il metodo (1998), insieme ai più recenti commentari sul Primo libro del Capitale o sulla Fenomenologia dello spirito, fino a giungere ad altri due fondamentali tasselli del pensiero di Jameson – Valences of the Dialectic (2009) e Allegory and Ideology (2019) – possono essere letti come una glossa sistematica a un pensiero che, nel tempo e attraverso una produzione ciclopica, segue una coerenza sistematica. Quest’ultima insiste sulla possibilità di dar vita a una «poetica delle forme sociali» che è anche, possiamo dire, una «politica delle forme storico-culturali», per la quale vale il motto che campeggia all’inizio dell’Inconscio politico: «Storicizzare sempre!», e che va inteso come un imperativo dialettico a porre le proprie credenziali teoriche nel rapporto con qualcosa di molto più largo e complesso, e a pensare il lavoro culturale come una prassi esposta alle variazioni della storia.
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SCHEDA. Bibliografia e traduzioni
È lo stesso Jameson a disegnare la traiettoria della sua opera, che consta di più di 25 volumi, da collocare sotto l’egida di una formula sintetica e avvincente: «The Poetics of Social Forms». Oltre al già citato libro d’esordio su Sartre e ai tre volumi più discussi della sua produzione («Marxismo e forma», «L’inconscio politico e Postmodernismo»), sono da ricordare gli altri tradotti in italiano: «La prigione del linguaggio. Interpretazione critica dello strutturalismo e del formalismo russo» (Cappelli, 1982), «Tardo Marxismo. Adorno, il postmoderno e la dialettica» (manifestolibri, 1994), «Firme del visibile. Hitchcock, Kubrick, Antonioni» (Donzelli, 2003), «Una modernità singolare. Saggio sull’ontologia del presente» (Sansoni, 2003), «Il desiderio chiamato Utopia» (Feltrinelli, 2007), «Brecht e il metodo» (Cronopio, 2008), «Raymond Chandler. L’indagine della totalità» (Cronopio, 2018) e «Dossier Benjamin» (Treccani, 2022), «Risentimento sociale. Sulle alternative al capitalismo globale» (Meltemi, 2023). L’8 ottobre uscirà per Verso Books il suo ultimo libro: «The Years of Theory: Postwar French Thought to the Present».
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