Non sappiamo se è stato per una rapina o per qualche altro motivo direttamente collegato alle attività di Michele Colosia, ma poco cambia. Quello che sappiamo è che finiti i festeggiamenti per la vittoria dell’Europeo di calcio è tornato a casa, nel quartiere di El Relicario, è uscito per andare a fare la spesa e li è stato raggiunto da una moto, con due persone a bordo e che dopo una colluttazione è stato freddato con quattro colpi di pistola.

La morte di Michele Colosio, italiano, di Borgosatollo, provincia di Brescia è emblematica del clima di violenza diffusa che si vive in tutto il Chiapas e anche nella vecchia capitale dello stato messicano, San Cristobal de Las Casas.

Diventato famoso per la rivoluzione zapatista il Chiapas è uno dei territori più militarizzati del mondo, e quindi del Messico. La violenza è sistemica e la politica ha usato la paura come forma di opposizione all’Ezln, prima militarizzando lo stato, poi servendosi dei gruppi paramilitari, e poi alimentando la guerra di bassa intensità contro le comunità in resistenza. I gruppi paramilitari non sono mai stati smantellati, e l’impunità è la linea di continuità con cui i governi locali e statali e nazionali hanno trattato la tematica. Ma la violenza generalizzata, quella che dal 2006 è diventata all’ordine del giorno in quasi tutto il paese a causa della mal definita «guerra alla droga» non aveva toccato i territori di confine con il Guatemala. Ma se l’esplosione è recente la sua curva di crescita è vertiginosa: i gruppi paramilitari da mercenari al soldo dei partiti e dello Stato si sono trasformati in mercenari a disposizione di ogni forma d’interesse.

Si sono trasformati in interlocutori del crimine organizzato, si sono trasformati in gruppi privati di aggressione dei sistemi di potere locali (che siano politici o economici). Tutto ciò che è stato messo in campo contro gli zapatisti è diventato elemento di coltura e proliferazione delle nuove forme di violenza urbana e statale. Il Chiapas diventa laboratorio per la politica messicana. Gli arresti di Garcia Luna e del generale Cienfuegos (anche se poi liberato) da parte degli Usa hanno svelato il legame stretto da potere politico e militare con i gruppi del narcotraffico.

Difficile quindi pensare che l’irruzione in Chiapas di tali gruppi sia solo opera dell’attività criminale per il traffico della droga o dei migranti. Più facile pensare che in un disegno di scontro per la lotta del territorio, sfruttare quanto fatto negli anni ’90 contro lo zapatismo e sommarci le nuove, violentissime, pratiche sperimentate dal 2006 sia una teorizzazione pronta da tempo così da raggiungere risultati mai visti contro le resistenze indigene locali, l’Ezln, e fare opposizione, da dentro «lo stato» al progetto di pacificazione del presidente Amlo. In tutto questo la vita in Messico, e ora anche in Chiapas, vale pochi pesos, Michele è stato vittima di questo terribile progetto che non è figlio di uno Stato fallito, ma di uno Stato criminale.