Si era fermato, aveva guardato e studiato quelli che allora erano i 140 acri dello Scettrini Ranch, nel distretto di Santa Venetia, già venduto al governo per costruire un nuovo e moderno Civic Center, e aveva probabilmente sorriso, perché aveva visto una nuova idea per un’altra architettura. Ma chi l’avrebbe mai detto allora, mentre Mr. Frank Lloyd Wright disegnava a matita, con il suo tratto elegante, l’ultimo dei suo capolavori, che oggi si sarebbe provato a inserire questo e altri suoi progetti nella quasi irraggiungibile e quasi mitologica Lista dell’Unesco Heritage Site? Che il Marin Civic Center sia un progetto unico è certo: è un National e California Historic Landmark, è l’unico realizzato per il governo degli Stati Uniti (tra oltre 400 progetti), sicuramente il più grande spazio pubblico mai realizzato da Wright e oggi, soprattutto, sta nella Tentative World Heritage List, una sorta di lista d’attesa, per essere poi – si spera – riconosciuto tra le quasi mille meraviglie del World Heritage Site dell’Unesco. Per intenderci, nella lista ci sono bellezze naturali, come la barriera corallina australiana, e siti storici e artistici, come la Grande Muraglia cinese, le piramidi in Egitto, l’Acropoli di Atene. Gli Stati Uniti hanno “solo” 21 siti e solo due non sono luoghi naturali: la Statua della Libertà e l’Independence Hall a Philadelphia, dove erano state proclamate la Dichiarazione d’Indipendenza e la Costituzione americana.

E adesso? E adesso…, adesso succede che il U.S. Department of Interior ha sottoposto la nomination di 11 edifici progettati e realizzati da Wright all’Unesco, dicendo che sono stati realizzati in quasi sessant’anni nella ricerca costante di un’architettura organica che integrasse gli edifici con il mondo naturale. Ogni particolare della realizzazione di queste opere, si dice poi, dall’architettura in sé ai mobili, giustifica la candidatura. Si afferma che questi sono progetti da sempre acclamati come capolavori da architetti, intellettuali e critici, e che il lavoro di Wright rispetta pienamente i criteri di ammissione alla lista perché rappresenta un contributo creativo e spettacolare per l’architettura del ventesimo secolo. Qualcuno ha avanzato qualche dubbio, in merito a questa richiesta. È abbastanza insolito infatti, dice Phyllis Ellin di Chicago che lavora con World Heritage Program, che la candidatura sia una sola ma che contenga di fatto 11 opere, separate nello spazio da più di 3000 chilometri. Ma comunque la richiesta è stata fatta, rispettando linee guida severissime. Gli edifici realizzati da Wright presenti nella lista sono storici e studiatissimi: Unity Temple a Oak Park, Robie House, a Chicago, Hollyhock House a Los Angeles, Taliesin a Spring Green, la famosissima Fallingwater in Pennsylvania, la torre S. C. Johnson & Son, Inc in Wisconsin, Jacobs House a Madison, Taliesin West a Scottsdale, Price Tower in Oklahoma, il Solomon R. Guggenheim Museum a New York e infine, eccolo qui, l’ultimo suo progetto: il Marin County Civic Center a San Rafael, in California. Se la presenza nelle liste dell’Unesco verrà confermata, sarà forse il prossimo anno, ma potrebbe slittare anche fino al 2019. È comunque interessante (soprattutto perché generalmente non facilissimo da raggiungere), conoscere il progetto più imponente del grande architetto americano.
Il novantenne Frank Lloyd Wright, accompagnato dal suo bastone, era arrivato per un sopralluogo sulle colline di San Rafael e, in meno di un’ora, così ci avrebbe poi raccontato il suo socio Aaron Green, il grande architetto aveva capito che quello era davvero un luogo magico. Un «Magical Space», avrebbe scritto, «dove una bella architettura avrebbe solo reso il paesaggio ancora più bello». Dopo che era stato costruito il Golden Gate nel 1937, e dopo che quindi la zona di Marin County (la zona a nord della baia di San Francisco) era stata finalmente «liberata» dal suo relativo isolamento, si era cominciato a pensare quasi da subito a un Civic Center, che potesse ospitare servizi governativi, una biblioteca, un tribunale. Molti dicevano che ci voleva un architetto di grande fama e grande sensibilità e, caso vuole, Wright era stato contattato subito dalla signora Vera Schultz, la prima donna supervisore per il Civic Center e che avrebbe appoggiato la sua candidatura fino alla fine. Il fascino dell’architettura organica era soprattutto quello di un’architettura che dialogava e avrebbe sempre continuato a dialogare con l’ambiente circostante, che avrebbe aperto nuove prospettive e, soprattutto, che mai si sarebbe chiusa su se stessa in una sorta di autocelebrazione.

Nel giugno del 1957 l’architetto aveva parlato in pubblico in una scuola di San Rafael, illustrando la sua idea di Architettura. «Non avremo mai una nostra cultura fino a che non avremo una nostra architettura. … E l’avremo solo quando sapremo che un buon edificio è quello che non ferisce il paesaggio, ma quello che rende il paesaggio più bello di prima». Era tornato il giorno dopo, su quelle colline che avrebbero ospitato il centro e, qualcuno dice con ironia, come al solito Wright aveva annunciato subito dopo di avere un progetto. Per Frank Lloyd Wright l’architettura era sostanzialmente spazio, spazio per la vita, da vivere. Non era, e non era mai stata, una questione di facciate, o di architetture «monumentali», grandi e irriverenti nei confronti dell’ambiente circostante. A una convention dell’American Institute of Architects nel 1952, a 85 anni, aveva detto: «Ho cominciato una guerra contro l’Architettura come scatola». E aveva disegnato alla lavagna spiegando: «vedete, ragazzi, questa è una scatola». E aveva cominciato a cancellarla e poi ricostruirla. Muri e coperture sono fatti solo per essere ridefiniti, cambiati, aveva detto.

Ma «il senso di un edificio è nei suoi spazi interni, dove la gente vive, lavora, prega. L’architetto è chi dà il modello da seguire». Grande innovatore, non gli era mai piaciuta neanche la megalomania del classico. Per il progetto a San Rafael, aveva semplicemente spiegato: «uniremo le colline con archi aggraziati…» e la sua Architettura Organica sarebbe riuscita ad accarezzare e armonizzarsi con quelle tre colline. «In Marin County abbiamo uno dei più bei paesaggi che io abbia mai visto, e sono orgoglioso di progettare questi edifici». I suoi disegni e il suo progetto finale, sarebbero stati poi presentati e approvati dal consiglio dei supervisori giusto un anno dopo, nell’Aprile del 1958, e i lavori cominciati nell’ottobre del 1959, a pochi mesi dalla sua scomparsa. I disegni, come forse non succedeva sempre, erano non solo dedicati all’architettura dell’edificio, ma anche a moltissimi dettagli per gli interni, i mobili, i colori, i materiali. Aaron Greene e il cognato William Wesley Peters, che diressero il progetto dal principio (1960) alla fine, seguirono pedissequamente ogni suggerimento lasciato da Wright.

Gli edifici principali, come ci spiega l’architetto William J. Schwarz dell’AIA (American Institute of Architects), che ha seguito dagli anni Settanta in poi i lavori del Civic Center, sono due, uniti da una rotonda. Uno che ospita uffici amministrativi su tre piani e lungo quasi duecento metri e il secondo, la Hall of Justice, su quattro piani e lungo più di 250 metri (che aveva anche un tunnel di collegamento al carcere, oggi trasferito altrove). Gli affacci delle scale si ricollegano all’idea del Guggenheim Museum di New York, perché lo spazio d’affaccio si allarga sempre più dal centro, per fare in modo che dai piani superiori si possano vedere quelli sottostanti. Nonostante il colore delle coperture non sia quello indicato da Wright, cioè oro (perché non era stato trovata una vernice oro resistente agli agenti atmosferici), era stata raggiunta una soluzione, grazie anche al consenso della signora Wright, per il colore azzurro, mentre molti dettagli sulle facciate, come le entrate, (griglia di metallo anodizzato oro) e le gronde sono rimaste in oro. E che dire poi dell’idea delle aule di tribunale circolari? Da quel momento venne promosso un design più accogliente per i tribunali e San Rafael diventò presto un esempio. Ogni spazio riceve luce naturale dall’esterno, dalle finestre, dalla superficie vetrata della copertura delle scale, come per la soluzione a spirale del Guggenheim.

C’è poi il post office (il primo edificio ad essere stato completato nel 1962), una caffetteria affacciata su un giardino con una piscina/fontana, il Veterans Memorial Auditorium. Una guglia molto alta – che è anche un camino e soprattutto una dichiarazione stilistica – si affaccia sulla valle, è avvistabile da molto lontano e resta un importante segno di riconoscimento. Questo è stato proprio l’ultimo progetto, forse il più potente di tutta la sua carriera. I lavori sarebbero proseguiti per parecchi anni e, lo scorso anno, si sono festeggiati i 50 anni dall’inaugurazione della prima parte del progetto. Come ci racconta lo storico Mark A. Wilson nel suo nuovo libro Frank Lloyd Wright on the West Coast (Gibbs Smith, 50$), quando il centro aprì, il San Francisco Chronicle intitolava un’editoriale con «Marin Center is a thing of Beauty», e preannunciava che il progetto di Wright sarebbe stato usato come modello da studenti e urbanisti per gli anni a venire. Già. Perché la gente sarebbe arrivata (come arriva) qui, come in Europa si arriva per visitare le cattedrali. Emozionante passare sulla HWY 101, e intravedere le eleganti arcate del Centro. Mark Wilson ci ricorda che si può capire quanto l’architettura di Wright faccia parte del paesaggio con una sola domanda: ‘cosa sarebbe Marin County senza?’. Il Marin Civic Center di San Rafael è una presenza architettonica davvero affascinante, tanto da essere stata scelto come location per girare dei film: Gattacha, del 1997 (con Ethan Hawk, Jude Law e Uma Thurman) e, nel 1970,THW1138 con Robert Duvall, il primo film di George Lucas che, destino vuole, oggi vive a Skywalker Ranch, non troppo lontano da qui.