Frank e Sinatra
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Frank e Sinatra

da "La libia s'è desta"

Reportage A partire dal documentario di Mario Gianni La Libia s'è desta l'incontro con una giovane attivista libica che vive in esilio con il marito: a loro l'autrice ha dato soprannomi di copertura

Pubblicato più di 8 anni fa

«Maybe we will go to live on PLUTO» ho detto a Frank e Sinatra salutandoli prima di ripartire da Marsiglia per rispondere alle loro impossibili domande: «dove andremo? Quando finirà? C’è un posto da qualche parte dove si possa vivere in pace?» e poi gli ho chiesto «do you prefer to use a nick name for the interview?» «yes, please». Ma non gli veniva in mente nulla allora ho detto: Frank Sinatra! Sì, Frank (lei) e Sinatra (lui, suo marito), perché no?» .

Tutto è cominciato per caso, una sera a una mostra a Roma ho incontrato il mio vecchio amico documentarista Mario Gianni, grande viaggiatore, grande anche fisicamente, e come succede quando non ci si vede da un pezzo ci si racconta di tutto: lavori, famiglie, viaggi, soprattutto quelli che non si possono più fare, Mario ha girato il mondo per «girare» i suoi documentari, dall’Afghanistan di Massud alla Libia della rivoluzione del 2011.

Così, a un certo punto mi ha detto: «perché non vai a intervistare Frank, è un tipo fortissimo è esule in Francia a Marsiglia, scappata da Bengasi, l’avevo intervistata insieme a tanti altri giovani nel 2011 nei giorni della rivoluzione, ti faccio vedere il film, sono ancora in contatto con lei, ti faccio da tramite». Il giorno dopo ero seduta davanti al video a guardare questa ragazzina, e tanti altri con lei, felice, eccitata, convinta di avere di fronte a sé un futuro luminoso, Frank si occupava dei rapporti con la stampa estera e contemporaneamente era attivista per i diritti umani insieme ad un altro gruppo di donne la cui esponente più importante era la signora Salwa Bugaighis, attivista e avvocato, che è stata tra gli organizzatori delle manifestazioni a Bengasi del 17 febbraio 2011 considerate l’atto di nascita della rivoluzione contro il Rais. L’avvocato era poi entrata a far parte del Consiglio nazionale di transizione (Cnt) il governo dei ribelli libici. Dopo tre mesi però si dimise: «Sanno che le donne hanno avuto un ruolo decisivo nella rivoluzione, ma ora pensano che il potere sia da destinare agli uomini», disse polemicamente, criticando la scarsa presenza femminile negli organismi della nuova Libia. Salwa Bugaighis è stata assassinata nella sua casa nel giugno 2014, il giorno prima delle elezioni, suo marito rapito, e un giardiniere, unico testimone, è morto dopo l’interrogatorio della polizia.

Ecco, così è cominciata questa storia, per caso, per curiosità e immediata simpatia per questa ragazza che nel video di Mario imbracciava un mitra per difendere il suo paese dagli sgherri di Gheddafi e raccontava, candidamente, che fino a pochi giorni prima le uniche armi che aveva maneggiato erano i libri. Ci sono stati prima i messaggi, poi le telefonate, complicate da frequenti cambi di numeri, e poi le coincidenze, gli amici marsigliesi incontrati a Lipari che mi hanno offerto ospitalità, un provvidenziale volo low cost e mi sono trovata a Marsiglia dove ero sempre voluta andare, appassionata lettrice di Izzo e dei film di Guedikian e fan di sua moglie Ariane Ascaride, la città di Duri a Marsiglia del mitico Giancarlo Fusco.

Abito all’Estaque, il vecchio porto dei pescatori, prendo l’autobus fino a Joliette e poi a piedi su e giù per i quartieri Le Panier, la Canabiere piena di bar turchi, le Vieux Port, la Rocca, il museo nuovo il Mucem, le case di Le Corbusier, i graffiti e le Calanche…la città è bellissima, ripulita da quando due anni fa è stata città della cultura, la fama, anche quella più misteriosa, ben meritata, 65% mussulmani, cosmopolita e ventosa. Finalmente Marsiglia. Ho un appuntamento al buio con Frank, la bella ragazza Frank, occhi e capelli nerissimi, passo veloce e allungato, come fosse spuntata da un film di Truffaut: «ho un vestito blu ci vediamo al porto vecchio». Capirai, al porto vecchio passano centinaia di persone, «ti aspetto seduta sul muretto della metro» sono riuscita ad autotradurmi in inglese. La vedo arrivare con un po’ di ritardo, uscita dalla scuola di francese obbligatoria per avere i permessi, la carta blu, i veri documenti ci mettono tantissimo, che si affretta in mezzo alla folla, è sorridente anche un po’ intimidita, ha gli stessi entusiasmi e incertezze di chi ha quell’età in ogni parte del mondo, con un dolore nascosto nel fondo degli occhi pronto ad uscire a tradimento per essere subito ricacciato più in giù. «Dove ci mettiamo?» le chiedo. Non è un problema secondario scegliere un posto silenzioso per un’intervista nel centro di Marsiglia. Alla fine ci infiliamo nel retro di un bar ancora in orario di chiusura, tra un litigio e l’altro del rumoroso personale, parliamo.

Ti ho visto nel documentario di Mario Gianni sulla rivoluzione a Bengasi sembravi entusiasta e piena di energia, cosa è successo? Cosa ti ha spinto ad abbandonare il tuo paese?

La situazione è molto complicata, fuori controllo, il popolo soffre, il quartiere di Bengasi, downtown vicino al porto dove abitava la mia famiglia non esiste più… La Libia per 42 anni non ha avuto Costituzione e il primo governo di transizione, non avendo mai avuto istituzioni di riferimento, non è stato in grado di creare un sistema democratico né di controllare lo scontro tra gruppi tribali islamici e quelli che facevano parte dell’esercito di Gheddafi che si sono uniti a Daesh.

Da dove vengono i militanti dell’Is?

Dall’Iraq, dalla Tunisia, dallo Yemen, dalla Siria da tutte le parti, e le città sono indifese, disorganizzate, non c’è sicurezza, è molto facile conquistarle.

Durante la primavera del 2011 che ruolo hanno avuto le donne?

C’erano, erano presenti, all’inizio anche nel governo di transizione, le donne lavoravano in entrambi i campi quello del supporto logistico alla rivoluzione e quello del dialogo politico, certo non c’erano molte donne, il numero era limitato, perché la società in Libia è molto conservatrice ma esistevamo, eravamo riconosciute. La doccia fredda è arrivata dopo la dichiarazione di Liberazione il 24 ottobre 2011, il capo del Consiglio Nazionale, che noi aspettavamo facesse un discorso sulla Liberazione a tutti i cittadini e sulla costruzione di una Libia democratica, invece, ha parlato di abolire tutte le leggi contro la Sharia che era stata bandita negli anni di Gheddafi e che tornava in vigore a tutti gli effetti.

Quindi pensi che la situazione delle donne fosse migliore prima della rivoluzione essendo Gheddafi un laico?

Era un dittatore … durante la dittatura le donne erano apparentemente protette dalla legge, ad esempio gli uomini non potevano contrarre un secondo matrimonio senza il consenso della prima moglie, ma in Libia chi ha mai rispettato le leggi?

Ma adesso è peggio di prima?

Da quando è tornata la Sharia sì, perché la Sharia non garantisce i diritti delle donne, è contraria ai diritti delle donne, è solo una finzione, noi abbiamo lottato per la nostra presenza nel parlamento, nelle prime elezioni c’erano 38 donne su 200 uomini, perché i partiti le hanno, formalmente, messe in lista ma non avevano nessun potere reale ne individuale, perché dipendono completamente dai partiti, nel governo c’era solo una donna e, naturalmente, ricopriva il ruolo di ministro degli affari sociali.

Un disastro

Sì, un disastro, avevano provato ad eleggere una donna agli Affari Esteri ma non ha funzionato, la presenza femminile nel governo è solo di facciata. Purtroppo non c’è un movimento. Anche le altre attiviste, che in questo momento sono in Egitto e lavorano da lì, dicono che sì, vogliono i diritti per le donne ma sotto la Sharia, capisci? Come si fa? non c’è un vero movimento «liberal». Il problema della Libia non riguarda solo le donne ma tutta la società, solo quando ci saranno la pace, l’istruzione, la cultura, lo sviluppo, si potranno garantire i diritti delle donne e di tutto il popolo. Le donne stesse devono reagire, uscire e lavorare, nessun altro lo può fare al loro posto, mio padre o mio fratello non mi hanno mai detto non devi lavorare o non devi studiare, ma sono stata io a volerlo fare. Le donne, senza nessuna istruzione, si sono paralizzate aspettando che qualcun altro trovi la soluzione per loro, che dia loro i diritti, loro non sanno…

Questo anche tra le giovani generazioni?

Sì, è la stessa cosa perché c’è un gap familiare: la società libica che è molto conservatrice è cambiata, in peggio, negli anni novanta quando hanno installato i canali della televisione saudita che hanno invaso la nostra televisione – i nostri paesi sono molto vicini, in ogni casa c’è un satellite – le donne hanno smesso di uscire di casa, di mandare a scuola le figlie, l’educazione è peggiorata, scaduta di livello, negli anni 2000 l’influenza dell’Arabia Saudita è aumentata sempre di più, non solo in Libia anche in Tunisia, Egitto, in tutta la zona, l’Arabia Saudita è il paese più potente e ricco, loro ritengono di avere il verbo, la verità e la verità è la religione e attraverso la religione controllano la gente. Come sempre alta politica! Molto raffinata! Tu non puoi capire quanto la televisione saudita ci abbia omologati culturalmente negli ultimi venti anni: le donne velate, discorsi sulla democrazia che non facevano altro che paragonare le libertà occidentali alla prostituzione, ai peggiori peccati: «o segui la Sharia o sarai dannata, diventerai una prostituta e andrai con tutti». La gente è confusa. L’influenza della tv ha fatto sì che la nostra cultura cambiasse completamente, abbiamo cominciato a vestirci di nero, prima non era un nostro costume, coprirci la testa col velo e adesso addirittura il nikab, tra la fine dei novanta e l’inizio del duemila la propaganda televisiva è diventata sempre più soffocante, una sorta di sonno magnetico che ha ipnotizzato in particolar modo le donne che, chiuse in casa, hanno assorbito , senza ribellarsi, la cultura dell’Arabia Saudita che è quella del deserto ed è completamente diversa dalla nostra che non ci appartiene, né a noi né alla Tunisia che siamo paesi che affacciano sul Mediterraneo, anche storicamente, dico, noi eravamo parte della Magna Grecia, ci sono stati i Romani e perfino le Amazzoni in Libia …se guardo le foto di mia madre o mia zia negli anni ottanta mi sento triste perché erano così diverse, più libere e poi hanno avuto paura, si sono vergognate, si sono maledette per essere state così simili, in apparenza, a tutte le donne occidentali, di essersi vestite come loro, si sono sentite in colpa e hanno paura di andare all’inferno per questo. Tutto grazie a questo martellamento televisivo in cui continuano a usare la religione per condizionare la mentalità della gente, soprattutto dei giovani. Certe madri arrivano a benedire la morte dei loro figli martiri perché convinte che vadano in paradiso, ci vorranno anni e anni per cambiare, se mai sarà possibile.

Come vedi il tuo futuro? Continuerai a fare attivismo anche qui?

Sì, certo, durante la rivoluzione a Bengasi mi occupavo di comunicazione, adesso io e mio marito Sinatra lavoriamo insieme per l’educazione dei bambini, da qui, cerchiamo di fare dei video, cortometraggi, con lezioni di matematica, fisica o lettere, da mandare in Libia perché i bambini possano studiare un po’, per aiutarli a cambiare mentalità. Pensavamo che la rivoluzione ci avrebbe portato più libertà, cultura, ci avrebbe messo in contatto col resto del mondo, invece sono due anni che i bambini non vanno più neanche a scuola. Si ripete sempre lo stesso errore, la prima cosa che avrebbero dovuto fare anche in Afghanistan e in Irak sarebbe stata aprire centinaia di scuole, solo con l’educazione la società può cambiare.

Tuo marito è anche lui di Bengasi?

Sì, è un filmaker, abbiamo fatto dei cortometraggi insieme proprio sulle donne, il primo su tre giovani lavoratrici che costruiscono arti artificiali e poi un’altro sul ruolo delle donne nella storia libica diviso in tre parti: il regno, la dittatura di Gheddafi, fino alla rivoluzione del 2011, lo abbiamo anche proiettato due volte a Bengasi, la terza non è più stato possibile.

Lo proietterete anche qui in Francia?

Per il momento non abbiamo i soldi per sottotitolarlo in francese, lo abbiamo tradotto in inglese ma non abbiamo ancora montato i sottotitoli, a Bengasi le cose sono precipitate così velocemente e abbiamo deciso di andarcene

Come avete fatto? So che siete riusciti a partire con l’aereo, è stato semplice?

No, stavamo all’aeroporto pronti ad imbarcare quando ci hanno fermati, ci hanno detto che non potevamo partire perché i nostri nomi erano sulla loro lista , ma non sapevamo chi erano questi civili armati senza divise, hanno arrestato Sinatra. Per tre giorni proprio perché è un filmaker che lavora con le Ong, volevano portare via anche me, ma mio padre è riuscito a convincerli di tenersi il mio passaporto e fare tutti i controlli che volevano, ma di lasciarmi a casa perché nella prigione dell’aeroporto non c’era una sezione femminile

E dopo ?

E dopo tre giorni ci hanno portato in tribunale e ci hanno interrogato chiedendoci se avevamo fatto parte della rivoluzione del 17 febbraio, noi abbiamo detto che abbiamo sempre lavorato per i diritti, per i valori, per i principi e basta, c’è sembrato assurdo, quasi ridicolo, poi ci hanno lasciato andare ma quando siamo usciti, proprio sulla strada, a pochi metri dal tribunale, degli uomini mascherati e armati hanno sequestrato mio marito e se lo sono portati via, io ho urlato e mi sono spaventata moltissimo, anche mio padre non capiva cosa succedeva , finalmente dopo ore e ore mio marito mi ha chiamata e mi ha tranquillizzata, a rapirlo erano stati quelli delle forze speciali che volevano indagare ancora su di lui. Ma la paura è stata grande perché se vieni rapito in Libia non sopravvivi. In quel momento ho pensato che non l’avrei mai più rivisto. Purtroppo quelli delle forze speciali agiscono così perché da quando nel 2013 si sono assunti la responsabilità della sicurezza della città sono stati attaccati, uccisi, rapiti, però che metodi schifosi !…abbiamo perso l’aereo ma comunque c’è andata bene.

Tu e tuo marito siete completamente laici?

Ah sì, certo, noi speriamo in una Libia secolarizzata, la secolarizzazione è l’unica soluzione possibile anche per mantenere la libertà religiosa, ma mi sembra che stia accadendo l’esatto opposto: diversi gruppi islamici continuano a combattersi tra di loro per il potere.

Lo sguardo della giovane Frank è precipitato per un attimo in un baratro di disperazione. Ho pensato che doveva essere molto triste.

Per farli sorridere Frank e Sinatra, nei tre giorni che ci siamo visti, ho tirato fuori un po’ di mestiere: teatro, sciocchezze varie e non mi ricordo più com’è venuto fuori Frank Sinatra, penso dopo un bel po’di Pastis, il secondo giorno quando Frank mi ha presentato suo marito Sinatra e mi hanno invitato nel loro loculo seminterrato in mezzo alle viuzze del quartiere arabo. Lì, con i due ragazzi 27 anni Frank, 32 Sinatra, ci siamo scolati quasi una bottiglia di Pastis sudando le sette camicie negli oltre 45 gradi di fine luglio, e loro mi hanno mostrato le loro foto e i pezzi di documentari girati sui bambini da Sinatra che vuole fare cinema. Certo, sì, Frank Sinatra mi è venuto guardando le foto del padre di Sinatra, un bel tipo di artista ribelle che organizzava mostre per le strade di Bengasi…prima…quando anche Frank e Sinatra e tanti altri giovani sognavano, pensavano, immaginavano e facevano la «loro» rivoluzione … si, gli ho detto: «un gran bel tipo tuo padre» così m’è venuto in mente Sinatra, anche se non gli assomiglia per niente, è più beat generation looking… scherzando, così, a causa o malgrado il tasso alcolico, siamo diventati amici e il nostro inglese, il mio d’italiana, il loro di libici, si è sciolto in una lingua comune, tacco per esempio si dice nello stesso modo a Roma e a Bengasi

«…Maybe better on Mars than Pluto …probably there is water on Mars…» gli ho scritto pochi giorni fa.

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