«La mia battaglia è per un’idea di libertà». Così Franco Maresco chiosa la conferenza stampa convocata insieme al legale Antonio Ingroia e a Letizia Battaglia, protagonista de La mafia non è più quella di una volta, per chiedere a Rai Cinema di rivedere il suo disconoscimento del film che aveva inizialmente sostenuto. Stasera alle 20.30 sulla piattaforma Miocinema, il regista presenta la rassegna «Ridere è Cosa Nostra» prima della proiezione del film. In questa occasione, che cade nei giorni del 28° anniversario della strage di via D’Amelio in cui vennero uccisi il giudice Borsellino e cinque agenti della sua scorta, Maresco ha rivelato: «Rai Cinema si è assunta dei doveri rispetto alla mia opera che poi si è rifiutata di rispettare. La questione non è solo economico-produttiva: decidere di non far circolare un film è una forma di censura. Rai rivendica il diritto di rinnegare in qualsiasi momento un film già realizzato e non lo fa solo con me».
Tutto comincia nel 2017 quando, dopo aver realizzato La mia Battaglia. Franco Maresco incontra Letizia Battaglia, il regista inizia a dialogare con l’azienda su un progetto che sfocerà in La mafia non è più quella di una volta. La Rai riceve prima un soggetto poi una sceneggiatura che comprende già la parte in cui Ciccio Mira – l’impresario protagonista del precedente Belluscone (2014) – racconta di aver conosciuto la famiglia Mattarella. Si tratta delle scene poi ricostruite con disegni animati nel film. Sul momento, Maresco non riceve alcuna reazione negativa. Dopo la visione di un primo montaggio gli viene chiesto di modificare solo una battuta a proposito del silenzio del Presidente sulla sentenza per la trattativa Stato-mafia. I problemi, relativi al modo ironico con cui si ricostruiscono le presunte relazioni tra i Mira e i Mattarella, sorgono nell’estate del 2019 quando la Rai disconosce il montaggio definitivo. Maresco ammetterà di operare il taglio di due battute e la modifica di una terza. Ma ora si trova a rivolgere un appello al Presidente della Repubblica e garante della Costituzione per chiedergli se ritiene che l’operato della Rai sia compatibile con l’art. 21.

Come si è inserita in questa vicenda la selezione del film nel concorso della Mostra di Venezia dove ha vinto il Premio Speciale della Giuria?

Abbiamo mandato lo stesso film sia a Rai Cinema sia a Venezia. Poi, nel tentativo di operare un compromesso, si è ragionato su che cosa si potesse eliminare e dopo i due interventi di taglio, il nuovo montaggio è stato riproposto alla Biennale, che poi ha accettato il film in Concorso. Invece, Rai Cinema è rimasta inamovibile: non si volevano riferimenti a Mattarella. Toglierli tutti era inaccettabile dal punto di vista politico, etico, artistico ed era impossibile da un punto di vista tecnico perché avremmo dovuto tagliare circa quindici minuti di film!

Rai Cinema ha mai motivato la sua posizione?

Non ufficialmente. Hanno chiesto al produttore Rean Mazzone di eliminare ogni riferimento al Presidente ma non hanno mai comunicato pubblicamente le loro ragioni o l’abbandono del sostegno al film. Solo oggi ho preso ufficialmente una posizione rivelando questo che in effetti era un segreto di Pulcinella. La scorsa estate si diceva tra di noi e, in modo ‘ufficioso’ tra Mazzone e la Rai: “vediamo come va il film a Venezia e poi magari…”. Lo stesso Barbera aveva pensato che dopo il buon esito alla mostra la Rai avrebbe potuto rivedere le sue posizioni. La mia ipotesi che loro temessero un qualche intervento risentito del Quirinale è una lettura ‘delirante’ delle cose, ma probabilmente è andata così. In definitiva, tutto dipende dagli uomini che hanno una posizione e temono di perderla.

Viviamo un periodo culturalmente pavido?

Io ho ormai sessantadue anni, ho fatto in tempo a conoscere gli ultimi sussulti della stagione delle ideologie, delle utopie e della militanza degli anni Settanta. Siamo poi precipitati in un baratro di barbarie. Oggi credo che viviamo nel peggiore dei mondi possibili. Dove sta il problema, in un film come il mio che non ha suscitato alcuna protesta – e tanto meno denuncia – e che ha anzi avuto un buon successo di critica? Oggi si parla tanto di Falcone e Borsellino e si fa finta di non ricordare che quando erano vivi furono lasciati soli, soprattutto Falcone ma anche Borsellino: la Rai avrebbe dovuto riconoscere che questo film smitizza la mafia di fronte alla gente con gli strumenti della satira, della comicità e del grottesco, e credo che questo sia molto più importante che spettacolarizzare la criminalità e la lotta alla criminalità come fanno tante opere prodotte anche dalla Rai.

Come si potrebbe invece costruire davvero una memoria non edulcorata di quelle stagioni?

Ora non c’è una memoria nelle celebrazioni dell’antimafia, è tutto spettacolo. Solo l’emergenza sanitaria ha fatto sì che quest’anno non si sia potuta fare la ‘sagra della porchetta’, come l’ha definita Letizia Battaglia, in omaggio a Falcone e Borsellino. Ma voglio raccontarvi un altro fatto purtroppo significativo. Poco più di un mese fa, l’archivio di un grande poeta e autore di teatro quale Franco Scaldati, morto nel 2013 e a cui ho dedicato un documentario nel 2015, è dovuto volare alla Fondazione Cini di Venezia per essere salvato dall’incuria. A Palermo era rimasto per anni in una casa privata, mentre la città non trovava un posto e le risorse per conservarlo degnamente. La sua partenza per Venezia sembra una scelta che salva l’archivio ma è anche una sconfitta per la città. Non si è avuta la forza di farne un simbolo di unità e di identità. Cosa c’entra con Falcone e Borsellino? C’entra eccome.
Rai Cinema respinge le accuse di censura con una nota in cui spiega d’aver: «Esercitato la propria facoltà di esprimere dissenso rispetto a contenuti non condivisi a priori, ritenuti potenzialmente offensivi, utilizzando le proprie prerogative contrattuali» e riservandosi «ogni iniziativa anche legale a tutela degli interessi della reputazione della società e dei suoi rappresentanti».