Tanti modi per ricordare-festeggiare gli ottant’anni compiuti dal pianista, compositore e didatta meranese Franco D’Andrea (8 marzo 1941). Radio3 gli ha dedicato proprio l’8 una serata speciale: intervista con concerto del trio New Things (registrato nel 2020 a S.Anna Arresi) per Radio3 Suite Jazz; su Battiti auguri e aneddoti di suoi collaboratori, dal sassofonista Andrea Ayassot al trombettista Mirko Cisilino. Puntualissima sarà l’uscita di una biografia del grande pianista senza rivali in Europa, se non Martial Solal, e molto apprezzato da importanti jazzisti Usa, da Glenn Ferris a Dave Douglas. Franco D’Andrea. Un ritratto (Edt, pp.224, euro 20) del giornalista e scrittore Flavio Caprera sarà in libreria l’11 marzo, uno strumento per comprendere un jazzista ammirevole, più che per la notevolissima carriera, soprattutto per la continua ricerca artistica.

IN TAL SENSO, dei sei capitoli del volume di Caprera – apprezzato anche per il Dizionario del Jazz Italiano, Feltrinelli 2014 – quello più interessante è l’ultimo. In «Una nuova giovinezza» si ripercorre il recente, fertilissimo ultimo trentennio, seguendo un fil rouge discografico ma mettendo a punto via via il trasformarsi della poetica di D’Andrea. In primis il suo continuo lavorare attorno ad alcuni organici in perenne mutazione: il piano solo, il trio, il settetto che si genera dal quartetto. La sperimentazione solitaria al piano è punto di partenza e d’arrivo per il jazzista, luogo di semina e di raccolto generatore di nuove sperimentazioni. In secondo luogo – ma di assoluta centralità – ci sono l’importanza del blues e il rapporto con la tradizione, dato che dal jazz delle origini è scaturito l’amore di D’Andrea per la musica afroamericana. A quella matrice spesso torna ma per proiettarsi verso il futuro, rendendo vivi e palpitanti gli elementi di continuità.
Franco D’Andrea si è dimostrato, comunque, un grande scopritore di talenti, al pari di Enrico Rava che gli dedica un’affettuosa, lucida prefazione: «Malgrado le sue abitudini non coincidano con lo stereotipo del jazzista – scrive il trombettista -, lui lo è all’ennesima potenza, e non sono molti (se ci sono) i pianisti europei che possano reggere il confronto con lui (…) Genio e regolatezza» (p.VIII). D’Andrea, peraltro, afferma che «io e Enrico abbiamo sempre avuto un rapporto fraterno, siamo diversi ma siamo come fratelli» (p.140) e tra le loro pagine migliori c’è stato il quartetto europeo Quatre.

VENGONO ANCORA affrontati con rigore e puntualità d’analisi il problema della creatività negli organici, la tendenza all’astrazione, l’indagine sui repertori da Bix a Monk e oltre, la fine delle collaborazioni per dedicarsi ai propri progetti, le produzioni discografiche con Pentaflowers, Philology, El Gallo Rojo e Parco della Musica, il quarantennale sviluppo delle aree intervallari, i processi creativi… 160 album incisi, 20 premi Top Jazz, 200 composizioni, tanti riconoscimenti accademici, collaborazioni da Lee Konitz a Dave Liebman, una formidabile attività didattica. Ma a 80 anni «lui invece suona un’idea di futuro e cerca di anticipare il presente» (p.178). Grazie, Franco.