Il 15 gennaio si conclude la consultazione dei cittadini, iniziata il 3 dicembre scorso dall’Agenzia di sicurezza nucleare (Asn), sulle condizioni di prolungamento della vita delle centrali francesi che hanno più di 40 anni di attività, cioè 32 reattori entro il 2030 sui 56 ora in attività, che forniscono più del 70% dell’energia elettrica prodotta nel paese.

Alcuni paesi confinanti – primo il Lussemburgo, ma la polemica ha raggiunto anche l’Italia – avrebbero voluto avere la possibilità di partecipare alla campagna di consultazione. Secondo Greenpeace, l’iniziativa però è più formale che altro, anche perché ai cittadini interessati è sottoposto un documento tecnico di qualche centinaio di pagine. «In queste condizioni – critica Roger Spautz, della campagna nucleare di Greenpeace – la consultazione rischia di essere solo una buffonata. L’Asn vuole dare una mano di vernice democratica a decisioni che riguardano la sicurezza di tutti, senza mettere in atto i mezzi per un reale dibattito».

Il rinnovamento e l’allungamento di vita delle vecchie centrali è difatti considerata una necessità, per non mettere in pericolo la sicurezza energetica in un paese che dal dopoguerra ha scelto questa fonte di energia, che è l’altra faccia della potenza militare nucleare, che, come ha ancora ripetuto Emmanuel Macron l’8 dicembre scorso in una visita al sito di Framatome al Creuzot (produzione di elementi per le centrali), permette al paese di mantenere il rango internazionale. In Francia 220 mila persone lavorano nel nucleare e lo stato controlla la filiera: con la ristrutturazione dell’operatore, Edf bleu (nucleare) resta al 100% pubblico, mentre Edf Vert (energie rinnovabili) aprirà al capitale privato (e i sindacati protestano contro la privatizzazione).

La regolamentazione francese non prevede una durata di vita massima, ma gran parte delle strutture sono state concepite per durare intorno a una quarantina di anni. Nel 2009, Edf – l’operatore – ha già allungato la vita dei reattori a 50 anni (negli Usa è già salita a 60 anni), sempre che la visita di controllo, realizzata obbligatoriamente ogni dieci anni, dia il via libera. Secondo Bernard Doroszczuk, presidente dell’Asn, le visite sono destinate a verificare lo stato del reattore, a migliorare la sicurezza delle installazioni vecchie, a valutare e diminuire i rischi, «l’obiettivo è avvicinarsi il più possibile alle esigenze di sicurezza dei reattori di terza generazione tipo Epr».

Greenpeace sottolinea che le vecchie centrali costruite nel XX secolo non hanno tenuto conto dei rischi del XXI, a cominciare da quello ambientale, dovuto al riscaldamento climatico (siccità, inondazioni ecc.). «L’Asn deve bilanciare tra la sicurezza dell’approvvigionamento e la sicurezza dei reattori – afferma Greenpeace – e negoziare con Edf con un margine di manovra limitato». Il costo del rinnovamento delle vecchie centrali è valutato 49,4 miliardi di euro.

La dipendenza dal nucleare per l’elettricità in Francia è molto forte, oltre il 70%. Nella campagna delle presidenziali del 2017, Emmanuel Macron ha promesso una riduzione al 50%, all’orizzonte 2035, impegno tradotto nella legge Energia-clima dell’aprile del 2020. Conservare una parte importante di nucleare permette pero’ alla Francia di limitare gli sforzi per il rispetto degli Accordi di Parigi. La Francia a livello internazionale fa sempre pressione per inserire il nucleare come fonte di energia pulita senza emissioni di Co2: l’Agenzia internazionale dell’energia ha comunque stabilito che senza il nucleare sarà impossibile raggiungere la neutralità carbonio entro il 2050, impegno del New Green Deal della Ue. Nel piano di rilancio del dopo-Covid, la Francia ha stanziato 472 milioni per sostenere la piccola e media impresa dell’indotto del nucleare e per la ricerca su piccoli reattori Smr (50-400 MegaWatt, alternativa a centrali a carbone o a energia fossile).

Sotto la presidenza Macron è stata chiusa una centrale di 900 MegaWatt, a Fessenheim in Alsazia (due reattori), la più vecchia di Francia concepita negli anni ’60 e in funzione dal 1978, una promessa fatta dal predecessore François Hollande ma non mantenuta allora. Altre chiusure sono previste, ma non prima del 2027. Per compensare, in previsione c’è la costruzione di 6 nuovi reattori di terza generazione, degli Epr (reattore europeo pressurizzato), una concezione degli anni ’90 realizzata in collaborazione tra la francese Framatome e la tedesca Siemens (unite in Npi, Nuclear Power International).

Dal 2018, è in funzione a Taishan (Cina) un Epr costruito in collaborazione con la francese Areva (oggi Orano) – la Cina ha già 2 Epr. Altri 4 sono in costruzione nel mondo, con tecnologia francese, uno in Finlandia a Olkiluoto, due in Gran Bretagna a Hinkley Point e uno in Francia, a Framanville, dove i lavori sono iniziati nel 2007. Questi quattro Epr hanno in comune un costoso allungamento dei tempi di costruzione e un’accumulazione di errori e rischi: in Finlandia, l’Epr avrebbe dovuto essere operativo nel 2009, invece non è neppure certo che lo sarà nel 2022 e i costi, da 3 miliardi di euro sono già saliti a 10 miliardi. L’apertura dell’Epr a Flamanville, che era stata programmata per il 2012, non avverrà prima del 2023. L’Epr di Flamanville è stato programmato per durare 60 anni.

La Francia, che produce ogni anno 1150 tonnellate di scorie, ha anche una expertise nel loro trattamento. Nel sito di La Hague, che sarà saturato nel 2030, è già prevista la costruzione di una nuova piscina che si affiancherà alle 4 esistenti, con l’obiettivo di arrivare il più possibile a una circolarità dell’utilizzazione delle scorie.