Nelle ultime settimane, le decisioni del governo francese in merito al lockdown del mondo dello spettacolo hanno sollevato critiche e provocato diverse reazioni: una grande manifestazione martedì 15 dicembre (il giorno della prevista e poi negata riapertura delle sale e dei musei), a cui sono seguiti una serie di eventi di protesta e di sensibilizzazione. Accanto a queste iniziative, le associazioni di categoria hanno cercato anche di passare per la via legale con nove ricorsi al Conseil d’Etat – un organo al tempo stesso giuridico, amministrativo, costituzionale che ha l’autorità di annullare i decreti del governo. Non tutti si ritrovano in questa strategia, considerando che, davanti a un governo che vota leggi sempre più autoritarie, per non dire fasciste, i luoghi di cultura non devono chiedere il permesso di continuare a fare quello che facevano prima, ma unirsi alla contestazione. Il programmatore della Seine Saint-Denis Yannick Reix dice a proposito: «Non condanno il ricorso perché, se fosse accolto, per molti lavoratori sarebbe fondamentale. Ma dobbiamo aprire per far entrare la strada, le piazze, nella vita che c’è fuori e che resiste al macronismo e al capitalismo. Solo così daremo un senso alle nostre sale. Se lottiamo per fare quello che fa Netflix, abbiamo già perso».

UN RICORSO simile, presentato qualche settimana fa dai rappresentanti dei luoghi di culto, era stato accolto, con l’autorizzazione a riunire fino a 30 persone. Sulla base di questo precedente, gli avvocati delle associazioni dello spettacolo erano moderatamente ottimisti, argomentando che, a protocollo identico (e in realtà ben più rigoroso), non si capisce come si potrebbe giustificare il fatto che ci si possa riunire in chiesa ma non a teatro. La richiesta era stata in effetti giudicata accettabile. E alcuni rappresentanti del mondo della cultura sono stati ascoltati dai giudici del Conseil d’Etat. Tra loro, il filosofo Edgar Morin, in prima linea nonostante l’età avanzata. Il produttore e cineasta Barbet Schroeder – uno degli ultimi compagni della Nouvelle Vague. La cineasta Rebecca Zlotowski, presidente della SRF (société des réalisateurs de films) e autrice tra l’altro del film Planetarium (2016), liberamente ispirato al triste destino del patron di Pathè Bernard Natan – un film retrò che la realtà di questi mesi ha fatto diventare d’avanguardia.
Il ruolo di questi ambasciatori della cultura è tutt’altro che simbolico. I rappresentanti del governo hanno argomentato da parte loro che la chiusura dei luoghi fisici non priva né il pubblico né gli artisti dell’accesso alle opere, poiché queste, che si tratti di film, di spettacoli o di musei, possono essere diffusi in digitale. Un tale livello di ignoranza della realtà effettiva del mondo dello spettacolo – di come esso viva e funzioni – indigna ma non stupisce. Da molti anni, il personale politico e in particolare i ministri della cultura si fanno notare per la loro impermeabilità alle belle arti. Tutta la narrazione macroniana è intrisa di fanatismo utilitarista e quindi di disprezzo per le arti liberali – quelle attività che appunto sono libere dal dover produrre un risultato pratico perché trovano in sé stesse il proprio fine.

LA NOTIZIA è che anche quel moderato ottimismo era eccessivo. Mercoledì 23 dicembre. I giudici del Consiglio di Stato hanno fatto qualche concessione retorica all’importanza della cultura ma nella sostanza la loro sentenza convalida la politica del governo. La richiesta di apertura è respinta perché, «vista l’evoluzione dell’epidemia» la decisione del Primo ministro Jean Castex di lasciar chiusi teatri, cinema e musei «non lede in maniera manifesta le libertà costituzionali». D’altro canto, per le medesime ragioni, il Consiglio fa notare che, qualora la curva dell’epidemia dovesse invertire di rotta, il mantenimento della chiusura non potrebbe più giustificarsi «per la semplice ragione che persiste un rischio di contaminazione degli spettatori». Una piccola speranza che non basta a confortare il settore; ma che gli avvocati delle associazioni hanno immediatamente impugnato. Non appena la situazione migliorerà, il governo sarà infatti obbligato a riaprire.