Domani a Kigali al Memoriale del genocidio una cerimonia commemora i 25 anni dall’ultima grande tragedia del XX secolo: 800mila persone, in maggioranza tutsi (e hutu che li avevano difesi), massacrate dalla notte del 6 aprile ’94 fino a metà luglio in Ruanda e Burundi, dopo l’abbattimento dell’aereo su cui viaggiava il presidente ruandese Juvénal Habyarimana e l presidente del Burundi Cyprien Ntaryamira, entrambi deceduti con l’equipaggio, tutto francese.

ALLA CERIMONIA sarà presente il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker. Emmanuel Macron non va, ufficialmente per «ragioni di agenda», ma per la prima volta la Francia partecipa a una commemorazione del genocidio ruandese. È rappresentata dal giovane deputato franco-ruandese di République en Marche, Hervé Berville (nel 1994 aveva quattro anni: orfano, è stato adottato da una famiglia bretone). Berville arriva a Kigali «per portare un messaggio di amicizia, compassione e solidarietà».

In Francia, il genocidio ruandese è tema ancora esplosivo. Non c’è ancora una risposta sul ruolo che la Francia ebbe in quei mesi, mentre il Belgio, potenza coloniale fino all’indipendenza del Ruanda nel 1962, ha chiesto ufficialmente scusa nel 2000, con il governo di Guy Verhofstadt.

Macron ha annunciato la creazione di una commissione di storici, composta da nove ricercatori e guidata da Vincent Duclert, specialista del genocidio armeno, a cui si affiancherà una «commissione internazionale», più aperta. Potranno accedere a «tutti gli archivi», ha assicurato Macron, anche quelli di François Mitterrand e dei servizi segreti esterni, finora chiusi.

Ma la polemica cresce anche sulla commissione: sono stati esclusi due specialisti, Stéphane Audoin-Rouzeau e Hélène Dumas, gettando dubbi sull’indipendenza dei ricercatori e coltivando il sospetto che ci sia una volontà delle autorità politiche di difendere il ruolo della Francia, in particolare dei militari sul terreno (con l’operazione Turquoise, in particolare, nel ’94).

A Parigi l’ong Survie chiede conto alla Francia del genocidio ruandese (Foto Afp)

 

Anche tra i militari la polemica è esplosa da tempo, tra le alte gerarchie, che negano una qualsiasi responsabilità, e esponenti della truppa che denunciano ordini ambigui e che non hanno impedito ai responsabili del genocidio di fuggire di fronte all’avanzata del Fpr e di rifugiarsi in Zaire (oggi Repubblica democratica del Congo).

L’ex ministro degli esteri, Hubert Védrine, nel ’94 segretario generale dell’Eliseo con Mitterrand, vive molto male la rimessa in causa delle scelte di Parigi. Così come Alain Juppé, ministro degli esteri di un governo di «coabitazione», con Balladur primo ministro.

PER ANNI, DUE TEORIE si sono scontrate, anche nei tribunali francesi, sulla responsabilità dell’abbattimento dell’aereo di Habyarimana, l’atto che ha scatenato il genocidio. Secondo una prima inchiesta giudiziaria (aperta dopo una denuncia delle famiglie dell’equipaggio), il giudice Jean-Louis Bruguière aveva avvallato la tesi di una responsabilità del Fronte patriottico ruandese (Fpr) guidato da Paul Kagame, dal 2000 presidente del Ruanda.

I suoi successori, i giudici Marc Trévidic e Nathalie Poux, dopo un’indagine a Kigali, avevano localizzato il luogo da cui erano partiti i tiri contro l’aereo e un sito occupato dai nemici del Fpr, mentre una nota dei servizi segreti, rivelata da inchieste stampa, accusava hutu estremisti (materialmente, i tiri possono essere stati azionati da mercenari dell’est europeo).

Il Tribunale internazionale sul Ruanda, istituito dall’Onu, ha condannato a 35 anni di carcere Théoneste Bagosora delle Far (Forza armate ruandesi), come «architetto» del genocidio (ora è in prigione in Mali). La ricerca della verità storica e l’apertura degli archivi potrebbero portare a condanne in Francia, dove probabilmente si sono rifugiati dei responsabili del genocidio.

LA RESPONSABILITÀ della Francia, che forniva armi al regime che ha attuato il genocidio, è stata stabilita dal rapporto Mucyo, presentato al governo ruandese nel 2008. A causa di queste accuse, i rapporti tra Francia e Ruanda sono stati a lungo molto tesi. Macron, che all’epoca era liceale, può permettersi di affrontare la questione delle responsabilità, anche se le pressioni per soffocare la ricerca della verità restano forti nell’apparato dello stato.

Un anno fa, a marzo, Kagame è stato ricevuto all’Eliseo. A ottobre la Francia ha sostenuto l’elezione dell’ex ministra ruandese, Louise Mushikiwabo, alla testa della «Francofonia». Nel febbraio 2010, Sarkozy era stato il primo presidente francese a recarsi a Kigali (ma non alla commemorazione del genocidio): aveva parlato di «tracce indelebili» che obbligano «la comunità internazionale, Francia compresa, a riflettere sui propri errori che hanno impedito di fermare un crimine spaventoso».

Una prima ammissione, ma solo di negligenza. In Francia, sono usciti molti libri sul genocidio ruandese, saggi ma anche romanzi (come Notre-Dame du Nil di Scholastique Mukasonga e Petit pays di Gaël Faye).

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Cronologia di un massacro

Agosto 1993: accordi di Arusha, che avrebbero dovuto mettere fine alla guerra civile tra Fpr (Forze patriottiche ruandesi) e Far (Forza armate ruandesi).
Ottobre 1993: intervento Onu, creazione della Minuar (che non può applicare la Convenzione per la prevenzione e la repressione dei crimini di genocidio eche si limita a definire «atti di genocidio»).
6 aprile 1994: abbattuto l’aereo dei presidenti di Ruanda e Burundi, Habyarimana e Ntaryamira. È l’inizio del genocidio.
22 giugno 1994: Parigi vara l’operazione Turquoise.
17 luglio 1994: la Fpr controlla il paese.
8 novembre 1994: risoluzione 955, l’Onu istituisce il Tribunale Internazionale per il Ruanda (lavora fino al 2015, il bilancio è controverso).
24 novembre 2006: il Ruanda rompe le relazioni con la Francia.
29 novembre 2009: le relazioni diplomatiche tra Francia e Ruanda vengono ristabilite.