Fra gli attributi che rendono leggendariamente ‘bella’, nelle nostalgiche rievocazioni postume, la Belle Époque, ha un peso non indifferente la pratica, mai prima così diffusa, della villeggiatura: al mare, in montagna, in campagna, nelle stazioni termali. È il momento di massimo fulgore dei Grand Hôtel, dell’eleganza mondana e cosmopolita della loro clientela esclusiva – e di uno stile artistico e architettonico internazionale, l’art nouveau, che sembra sottrarre funzionalità agli oggetti d’uso, per trasformare ogni edificio, anche urbano, in arabesco floreale, in promessa esotica. Ma è anche l’epoca di una prima democratizzazione della vacanza: non più appannaggio esclusivo delle classi aristocratiche e della ricca borghesia, non ancora piacere triviale alla portata delle masse – come spesso capita, un immaginario mitizzato, nella memoria storica e in letteratura, si sviluppa nell’intervallo incerto fra un non più e un non ancora.

La generazione romantica aveva esaltato ogni forma di altrove: dal viaggio transoceanico all’ascensione alpina, dalle spiagge incontaminate (L’invenzione del mare è datata da Alain Corbin 1750-1840) all’aria pura delle campagne, contrapposta ai miasmi urbani. Già l’ironia di Goldoni, nella Trilogia della villeggiatura, aveva deriso l’ossessione delle ferie in villa, alla maniera aristocratica, che nel Settecento veneziano stava contagiando molti borghesi più o meno arricchiti. Ma solo nel secondo Ottocento la vacanza diventa, su larga scala e in tutta Europa, rito sociale: per le classi alte, nelle località alla moda, per settimane o mesi; per la piccola borghesia e il popolo, fuori porta, in quelle fuggevoli gite domenicali che affascinano i pittori impressionisti e gli scrittori naturalisti: autentiche epifanie di senso, moderniste avant la lettre, nel grigiore di un’esistenza alienata. Così, il casuale incontro erotico al centro di uno dei più bei racconti di Maupassant, Una scampagnata, è la storia banale e perfino squallida di due aitanti canottieri (lo sport alla moda a Parigi, all’epoca) che rimorchiano moglie e figlia di un onesto commerciante, sotto i suoi occhi ottusi; ma nel ricordo sarà trasfigurato dai protagonisti in attimi di irripetibile felicità.

Propositi di purezza addio
L’età dell’oro della villeggiatura nasce in Francia (e non solo) con la fastosa mondanità del Secondo Impero, si afferma durante la Terza Repubblica e trova un primo epilogo tragico sui campi di battaglia della Grande Guerra. Del tema si appropriano tempestivamente illustratori e caricaturisti: su tutti, Albert Robida; mentre i narratori realisti che ne danno conto recuperano per un verso motivi classici della satira sulle vacanze (da Petronio a Goldoni), insistendo sull’intreccio di meschine preoccupazioni economiche e di esibizionismo snob; ma sottolineano soprattutto il rapido degrado del mito romantico: il desiderio di natura e autenticità si fa coazione sociale, inautentica e ben presto annoiata.

Possedere una casa in campagna diventa, sotto il regno di Napoleone il Piccolo, uno status symbol; e sono naturalmente i parvenus i più ansiosi di fregiarsene. Lo sapeva il più metropolitano fra i romanzieri francesi, che nella sua Storia naturale e sociale di una famiglia sotto il Secondo Impero manda in villeggiatura la protagonista di Nana, in uno degli episodi più spassosi (e meno noti) dei Rougon-Macquart. Al culmine del suo successo a teatro e nelle alcove, al capitolo VI, la prostituta di Zola compra, vicino a Orléans, una tenuta il cui nome, la Mignotte, per un lettore francese contiene un’allusione solo un po’ meno esplicita che per noi. Quando ne prende possesso, cade in preda a un accesso di gioia infantile: sotto un violento acquazzone, in mezzo al fango, raccoglie estatica le fragole; e nel suo elogio della natura incontaminata, la ragazza cresciuta nei sobborghi operai di Parigi snocciola tutti i topoi tardoromantici, sotto lo sguardo scettico della serva, Zoè, che la campagna, con le sue fatiche, la conosce davvero.

Come prevedibile, i propositi di purezza e riscatto svaniscono presto: la sera stessa, Nana si concede al giovanissimo Georges Hugon; nel giro di pochi giorni, si trasferiscono nei dintorni i suoi principali spasimanti, riproducendo fra i campi del Loiret le stesse dinamiche del demi-monde parigino. E lei non tarda a stufarsi: la assale la nostalgia dei boulevards, dell’intensità della vita parigina, cui tornerà presto, e quasi con sollievo; non prima, però, di avere osservato, durante una gita, il castello dove si è ritirata Irma d’Anglars, ex cortigiana ormai stabilmente insediata in provincia, dove trascorre una vecchiaia agiata, circondata da unanime rispetto.

La casa in campagna è davvero sinonimo di riuscita sociale; è il passaporto che dà accesso a un ceto superiore. Ma è antropologicamente estranea alla maggior parte dei personaggi del romanzo naturalista: che avrebbero sottoscritto senza esitazione le più drastiche invettive letterarie contro il mito rurale, quelle pronunciate qualche decennio più tardi da Ferdinand Bardamu nel Viaggio al termine della notte di Céline: «Io, la campagna, bisogna che lo dica subito, non ho mai potuto sopportarla, l’ho sempre trovata triste con i suoi pantani che non finiscono più, ecc».

L’uomo Zola, invece, cresciuto in Provenza, ha sempre amato la villeggiatura: da giovane va a Bennecourt, lungo la Senna, in compagnia dei suoi amici impressionisti; più tardi al mare e alle terme, quando il successo lo arricchisce e i medici consigliano bagni estivi per curare i disturbi psicosomatici della moglie Alexandrine. Ma lo scrittore ambienta fra le scogliere della Normandia solo un tetro romanzo schopenhaueriano (La gioia di vivere: titolo antifrastico); di rado dà voce letteraria alla nostalgia di una natura incontaminata: la condivide nella vita, ma la relega in letteratura fra i buoni ingredienti di pessimo gusto di un romanticismo stantio.

Piuttosto, Zola si diverte a rivisitare, in testi di minore impegno, il tema già classico della villeggiatura licenziosa: così in una novella insolitamente boccaccesca, I frutti di mare di Monsieur Chabre: il protagonista e la moglie vanno al mare in Bretagna, su suggerimento medico, per curare la sterilità. Lui, attempato e ligio alle prescrizioni, s’ingozza di corroboranti crostacei, mentre lei, molto più giovane, risolve il problema grazie all’intervento di un nerboruto ragazzo del posto. Cure contro la sterilità, e soluzione narrativa nelle grandi linee analoga, anche in quello che è il più importante (ma poco fortunato) romanzo naturalista sulla villeggiatura, Mont-Oriol di Maupassant, dove tuttavia la trama erotico-sentimentale si intreccia con altri due motivi: da un lato le speculazioni edilizie che accompagnano la nascita di una nuova stazione termale in Alvernia (stesso tema sullo sfondo del più tardo, e cupo, Terreni in vendita in riva al mare, di un altro allievo di Zola, Henry Céard); dall’altro i riti della mondanità che, nella bella stagione, da Parigi si trasferiscono nelle località turistiche alla moda – e danno materia a numerosi racconti e romanzi, oggi per lo più a ragione dimenticati (negli stessi anni è Cechov, nella lontana Russia, a scrivere il massimo capolavoro in tema di villeggiatura: Il duello).

Tra Riviera e Grand Hôtel
Una bizzarra e facoltosa società cosmopolita è protagonista, per esempio, delle novelle raccolte da Jean Lorrain nel Crimine dei ricchi e ambientate in Costa Azzurra. In Normandia si situa invece l’immaginaria Balbec di All’ombra delle fanciulle in fiore, che deve molto a Cabourg. Lorrain e Proust, che nella vita si sono anche affrontati in duello (incruento), declinano il tema della villeggiatura in modi al tempo stesso vicini e diametralmente opposti. Se per il primo l’eccentrico edonismo dei vacanzieri della Riviera, fra ville e feste, nutre un facile estro scandalistico, per il secondo il microcosmo del Grand Hôtel offre un modello, concentrato e intensificato, dell’intera società; se per Lorrain lo snobismo è una posa, di volta in volta praticata o irrisa, per Proust è chiave d’accesso ai moventi più inconfessabili, e più profondi, dell’agire umano. Ma più avanti nella Recherche, in Sodoma e Gomorra, le abitudini rilassate della villeggiatura prefigurano anche uno sconvolgimento sociale duraturo: in campagna, alla Raspelière (vicino alle spiagge di Trouville), gli arrembanti Verdurin riescono, più facilmente che a Parigi, a legare con l’aristocrazia quei rapporti che preparano il colpo di scena del Tempo ritrovato, quando la borghese pretenziosa e screditata si ritroverà moglie del principe di Guermantes. E, infatti, i riti raffinati della villeggiatura elegante, proprio in quegli anni, stavano involontariamente aprendo la strada alle orde antiestetiche del turismo di massa.