Il caos politico italiano oltre alle cifre record della disoccupazione francese e spagnola stanno per avere la testa della politica del rigore ad oltranza nella zona euro. Addirittura il commissario alle politiche economiche Olli Rehn, un rigorista finlandese, si è unito ieri alla ormai lunga lista dei critici. Con moderazione, sempre prendendo la precauzione di sottolineare che il risanamento dei conti “resta essenziale”, Rehn ha concesso che “c’è ormai uno spazio per una manovra con sforzi meno aggressivi” e che “gli sforzi di consolidamento devono tenere in considerazione la specificità dei paesi, perciò la dinamica dell’aggiustamento dei bilanci sta cambiando”.

In seguito alle pressioni degli Usa e persino dell’Fmi, Bruxelles si sta preparando ad allungare le redini dell’austerità. In parte, senza declamarlo ad alta voce, lo sta già facendo: quest’anno, lo sforzo di consolidamento complessivo nella zona euro sarà dello 0,75%, cioè pari alla metà di quello che è stato realizzato a tappe forzate nel 2012, quando la stretta è stata dell’1,5%.

Il fatto che l’austerità sia stata applicata dappertutto contemporaneamente ha avuto l’effetto equivalente a una riduzione della spesa pubblica di 3,2 punti di pil tra il 2009 e il 2012, la domanda interna, secondo la Commissione europea, nel 2012 è stata inferiore di 226 miliardi rispetto al 2008 nei 17 paesi della zona euro. Un vero e proprio salasso, che si è tradotto in disoccupazione e in perdita di reddito, aumentato dal funzionamento del moltiplicatore che ha agito amplificando il movimento al ribasso fino alla recessione.

L’intervento della Bce non è più sufficiente a rianimare l’economia europea grippata e il tedesco Jörg Asmussen, del direttivo di Francoforte, è rimasto un po’ solo a puntare esclusivamente sull’esempio della Germania, suggerendo anche agli altri paesi un “modello più competitivo, basato sull’export”. Per il gruppo S&D dell’Europarlamento, bisogna “cambiare strategia”, perché “troppo è troppo”.

Lo scontro con la Germania, che per il momento mantiene le sue posizioni rigoriste, sarà al prossimo Consiglio europeo di fine maggio. In quell’occasione potrebbero venire decise nuove regole sui ritmi del consolidamento di bilancio. Alcuni paesi otterranno o hanno già ottenuto tempi più lunghi: due anni in più a Spagna e Portogallo per rientrare nel 3% di deficit, un anno per la Francia, che quest’anno sfonda al 3,7%. Monti, invece, aveva fatto dell’Italia la prima della classe del rigore.

La Francia batte il record di disoccupazione dal ‘97. Le cifre diffuse ieri rivelano un aumento per il 23esimo mese consecutivo, con 3,2 milioni senza nessuna attività, cifra che supera i 5 milioni se si sommano coloro che sono ad attività ridotta (e beneficiano quindi degli aiuti sociali per sopravvivere), con un aumento del 15% dei disoccupati di unga durata. La Spagna sta velocemente raggiungendo la Grecia, con una disoccupazione che nel primo trimestre 2013 ha superato il 27%. I senza lavoro spagnoli sono ormai 6,2 milioni. Più grave ancora: la disoccupazione giovanile in Spagna è ormai intorno al 50%, come in Grecia, mentre anche la Francia batte dei record, con il 26,4% senza lavoro sotto i 25 anni. I neet (Not in Education, Employment or Training) tra i 15 e i 29 anni in Francia sono 1,9 milioni, il 17% di questa fascia di età.

La zona Euro è spaccata in due, ma la parte in buona salute sta perdendo pezzi. Con una disoccupazione bassa restano ormai solo più l’Austria (4,8%) e la Germania (5,4%). L’Olanda, che faceva parte del fronte del rigore, ha già abbandonato la barca, di fronte a segnali di aumento dei senza lavoro e di fallimenti di imprese. La Grecia batte tutti i record negativi (27,2% di disoccupati), seguita ormai a ruota dalla Spagna, ma l’Irlanda, un tempo ottimo allievo poi finito nel vortice della crisi, ha ancora il 14,2% di senza lavoro, malgrado le assicurazioni del governo, convinto di essere sul punto di potersi liberare della tutela della trojka. La scossa che sta facendo cambiare posizione alla Commissione, è venuta anche da un altro dato, già manifesto nei paesi della periferia: con l’onda lunga della crescita della disoccupazione e della chiusura degli impianti industriali, sono ormai stati causati danni irreversibili alla capacità produttiva. Questo significa che, anche in caso di ripresa, nei paesi più in crisi, i tempi si allungheranno per poter recuperare occupazione e attività, perché bisognerà ricostruire il tessuto produttivo distrutto.