«Le grane arrivano in squadriglia», diceva l’ex presidente Jacques Chirac. François Hollande ne ha oggi la prova: i «berretti rossi» bretoni sono sul piede di guerra per la rivolta anti eco-tassa, la disoccupazione non scende, gli annunci di chiusure di fabbriche si moltiplicano (ultimo in data, FagorBrandt, che minaccia 2 mila posti di lavoro), il razzismo non si nasconde più (come hanno dimostrato di recente le ingiurie contro la ministra della giustizia, Christiane Taubira, difesa molto debolmente dai suoi colleghi di governo, per timore di favorire ancora il Fronte nazionale). In questo clima, all’alba di ieri è arrivata dagli Usa un’altra brutta notizia: l’agenzia di rating S&P ha degradato la Francia, che era a AA+ a AA. Parigi aveva già perso le 3A (il voto massimo) nel gennaio 2012. Adesso scende di un gradino e si ritrova accanto al Belgio (prima era allo stesso livello dell’Austria, mentre nella Ue conservano il rating AAA solo Germania, Olanda, Finlandia e Lussemburgo).

Nel dramma, Hollande però ha una certa fortuna: l’abbassamento del rating arriva proprio qualche ora dopo la decisione della Bce di portare i tassi di riferimento dallo 0,50 allo 0,25%. In altri ermini, secondo l’economista Elie Cohen, l’impatto sui tassi di interesse che la Francia paga sul suo debito pubblico (che è ormai al 93% del pil) dovrebbe essere minimo, poiché i due fenomeni potrebbero compensarsi. Inoltre, in questa fase si riscontra un riflusso degli investimenti dai paesi emergenti verso i paesi industrializzati. In questo contesto, in Europa, dopo la Germania, la Francia resta terreno sicuro per investire i propri soldi. Il primo ministro, Jean-Marc Ayrault, ha difatti sottolineato ieri che «la Francia possiede sempre uno dei migliori rating al mondo». Per il ministro dell’economia, Pierre Moscovici, S&P ha dato «giudizi inesatti». Hollande ha confermato il proseguimento delle scelte di politica economica: risanamento ma senza «mettere in causa il modello sociale».

Secondo S&P, «il margine di manovra sul bilancio francese si è ridotto», perché le misure prese «non hanno ridotto in modo significativo il rischio che il tasso di disoccupazione resti al di sopra del 10% fino al 2016». E questo malgrado l’impegno preso da Hollande di «invertire la curva» della disoccupazione (cioè di bloccarne la crescita) entro fine anno. Per S&P «il livello attuale di disoccupazione diminuisce il sostegno popolare a favore di nuove riforme strutturali e settoriali e mina le prospettive di crescita a più lungo termine». Per S&P la reazione popolare anti-tasse è fondata: in Francia la pressione fiscale è al 46% (era al 42,5% nel 2010) e la spesa pubblica assorbe il 56% del pil. La produzione industriale è caduta dello 0,5% a settembre, mentre il deficit pubblico supera il 4%. S&P ha ripreso, nei fatti, le critiche della Commissione Ue.