I film francesi in concorso quest’anno a Venezia sono tre. In ordine alfabetico per autore: Stephane Brizé con una fiction sociale Un autre monde, Xavier Giannoli con un adattamento dal romanzo di Balzac Illusions perdues e infine Audrey Diwan che a sua volta adatta un romanzo ma della scrittrice contemporanea Annie Ernaux: L’Événement. Che cosa c’è da aspettarsi?

Di questa piccola pattuglia, i primi due cineasti sono dei veterani. Stephane Brizé si è fatto conoscere nei primi anni duemila con dei drammi tipici del cinema francese commerciale ma di qualità. Nel 2015, si inventa una svolta sociale e porta a Cannes un film impegnato: La loi du marché, dove il feroce mercato si sostituisce alle bizze dell’amore dei primi film nell’alimentare i malori del protagonista. Il tema realista è rinforzato con alcune scelte in linea con le norme del genere, come la scelta di prendere, per i ruoli secondari, degli attori non professionisti che nella vita esercitano un’attività simile a quella che Brizé chiede loro di interpretare. Mentre per il ruolo principale fa appello a Vincent Lindon che al suo secondo film con Brizé ottiene il premio dell’interpretazione maschile.

In Un autre monde Brizé ripete più o meno la stessa formula e conferma Vincent Lindon – che ha già trionfato a Cannes con il discusso ciberpunk Titane – nel ruolo principale. Il titolo strizza l’occhio al titolo di una celebre canzone del gruppo punk rock francese Téléphone. In una scena prevista nella sceneggiatura e poi non girata, un vero sindacalista francese doveva fare un cameo e pronunciare davanti ad una folla di operai in sciopero la frase: « anni fa sognavamo di un altro mondo, ma poi qualcosa è andato storto… ».

L’espressione, che inizialmente allude ad un sogno e ad una possibilità, racconta oggi il mondo in cui ci si ritrova quando si è operai di una fabbrica che improvvisamente chiude.

Anche Xavier Giannoli fa parte dei cineasti francesi che un tempo François Truffaut avrebbe definito «di qualità» o «di papà» per distinguerli dal progetto di un cinema audace e innovativo. Le sue storie sono sempre costruite intorno ad una sceneggiatura solida, puntellate da una rigorosa fondazione nella realtà quotidiana e messe in scena con tecnica e sobrietà, facendo appello ad un attore noto e capace: Gérard Dépardieu, François Cluzet o l’onnipresente Vincent Lindon.

In questo caso, l’azzardo del film è da un lato l’ambientazione ottocentesca – ché se da un lato richiede uno sforzo produttivo eccezionale, attira raramente delle folle al botteghino. A questo si aggiunge il fatto che il romanzo di Honoré de Balzac è tra i più letti di quel vastissimo progetto di descrizione dei costumi che è la Comédie humaine. Da parte sua, il film ha un cast più che stellare: Cécile de France, Gérard Dépardieu…

Tutti sono curiosi di sapere come se la caveranno Vincent Lacoste nel ruolo di Etienne Lousteau, il personaggio principale, alterego di Balzac, o Xavier Dolan in quello di Raoul Nahtan e Jeanne Balibar nei panni della Marquise d’Espard. Illusions perdues sarà anche l’ultimo film di un grandissimo scomparso solo poche settimane fa: Jean-François Stévenin, qui nel ruolo di Singali. Di sicuro la Mostra ne approfitterà per rendere omaggio a questa personalità importante del cinema transalpino, anche se poco nota in Italia.

Come attore, Stevenin ha lavorato su alcuni film centrali della Nouvelle vague matura e tarda : L’Enfan Sauvage di Truffaut, Le Pont du Nord di Rivette, Mona et moi di Patrick Grandperret e in una miriade di grandissimi secondi ruoli con Godard, Breillard, Blier e tanti altri. Autore di soli tre film, tutti pezzi importanti della cinefilia: Passe montagne, Double monsieur, Mischka. Nel 2000 è lui a raccontare al quotidiano Libération come è diventato attore, dopo molti anni passati come aiuto regista. Sul un set di Out 1 di Rivette, Juliette Berto osservandolo dice: « buffo quell’assistente, e come somiglia a Brand! Perché non dargli il ruolo di Marlon?».

Con Stevenin se ne va uno degli ultimi personaggi dell’anima rock del cinema parigino. E non è un caso se è proprio l’Elvis Presley francese Johnny Hollyday a dare di Stevenin il giudizio più elogiativo : «egli è, con Pilat e Godard, uno dei tre migliori registi francesi degli ultimi cinquant’anni».

Parliamo infine di Audrey Diwan, giornalista, scrittrice e sceneggiatrice, ha cominciato la sua carriera con un romanzo, La Fabrication d’un mensonge, che ha ottenuto il premio René Fallet nel 2008. È anche parte del collettivo 50/50 che promuove l’eguaglianza nel cinema e nell’audiovisivo e che recentemente ha ottenuto che tutti i produttori francesi partecipino a degli stage di educazione alla prevenzione della violenza sulle donne. L’Événement è il suo secondo film. Diwan adatta, come detto sopra, il romanzo autobiografico che Annie Ernaux ha scritto nel 2000 nel quale l’autrice ritorna con la memoria la periodo, il 1963 in cui la pillola contraccettiva non esisteva e l’aborto era illegale. Il romanzo è una delle testimonianze più crude, precise e oneste della condizione femminile nei primi anni sessanta; c’è quindi una grande attesa per vedere come Diwan riuscirà a tradurre la scrittura di Ernaux, incisiva ma mai patetica, sul grande schermo.