La risoluzione del Bundestag che ha riconosciuto il «genocidio» della popolazione armena da parte degli ottomani e le conseguenti proteste del premier turco Erdogan arrivano a tre settimane dal viaggio apostolico che papa Francesco effettuerà in Armenia dal 24 al 26 giugno. Inevitabilmente contribuiscono ad aumentare la tensione e a rendere più complicata una trasferta, annunciata da tempo e molto attesa da governo, Chiese e popolo armeno, durante la quale il pontefice visiterà anche il Memoriale del genocidio e tornerà a condannare i massacri degli armeni, quasi certamente utilizzando lo stesso termine – «genocidio» – contenuto nella risoluzione approvata ieri dalla Camera bassa tedesca.

Del resto non sarebbe una novità. Già il 12 aprile del 2015, in Vaticano, in occasione del centenario del «Metz Yeghern» (il «Grande Male»), papa Francesco – riprendendo le parole della Dichiarazione comune di Giovanni Paolo II e del catholicos della Chiesa armena Karekin II sottoscritta durante il viaggio in Armenia di papa Wojtyla nel 2001 – si espresse in questi termini: «La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la prima, quella che generalmente viene considerata come «il primo genocidio del XX secolo», ha colpito il vostro popolo armeno, insieme ai siri cattolici e ortodossi, agli assiri, ai caldei e ai greci. Furono uccisi vescovi, sacerdoti, religiosi, donne, uomini, anziani e persino bambini e malati indifesi». Immediate, anche in quel caso, le reazioni turche: Ankara convocò il nunzio apostolico (l’ambasciatore della Santa sede in Turchia) per una protesta formale ed espresse «forte irritazione» per le parole del papa, giudicate «senza fondamento» e «lontane dalla realtà storica», e aggiungendo che «l’incidente» avrebbe provocato un problema di fiducia nei rapporti con il Vaticano.

L’atmosfera quindi si presenta surriscaldata, tanto più che, come ha spiegato alla Radio Vaticana l’arcivescovo degli armeni cattolici di Aleppo mons. Boutros Marayati, se il viaggio di Giovanni Paolo II «ha avuto un carattere molto privato», questo di papa Francesco «avrà invece un’apertura più forte».

Oltre al Memoriale del genocidio, infatti, incontrerà le massime autorità civili e religiose del Paese, parteciperà ad una liturgia apostolica, celebrerà una messa in piazza a Gyumiri (nel nord, dove c’è una forte presenza di armeni cattolici) e sottoscriverà una nuova dichiarazione comune con il capo della Chiesa apostolica armena, Kerenin II. Francesco vorrebbe anche recarsi alla frontiera, oggi chiusa, con la Turchia («se si potesse aprire quella frontiera, sarebbe una cosa bella», aveva auspicato il papa durante il volo di ritorno da Istanbul, nel settembre 2014), ma il progetto sembra di difficile realizzazione, anche se Bergoglio – come quando a Betlemme si fermò per toccare il muro di separazione con Israele –, ha compiuto diversi fuori programma.