Partiamo dalla fine, dall’immagine cioè che di Francesco Giamberti da Sangallo hanno restituito gli studî e la storiografia. Una figura, quella dell’ultimo della schiatta dei celebri artisti fiorentini, che si direbbe difficile da mettere a fuoco, in parte schiacciata tra gli esiti dell’attività di Michelangelo alla Sagrestia Nuova – impresa cui lo stesso Francesco collaborò quando aveva suppergiù trent’anni – e il nuovo volto imposto all’architettura dello Stato fiorentino a partire dagli anni cinquanta del XVI secolo. Come troppo spesso accade tutto l’interesse si coagula attorno ad alcune opere, certo esiti altissimi, ma che fanno sfumare tutto il resto sullo sfondo. Così la Sant’Anna Metterza della chiesa fiorentina di Orsanmichele (1522-’26), testo fondamentale della scultura cinquecentesca, è un po’ l’opera paradigmatica di Francesco da Sangallo. Più in generale, la sua attività di scultore ha fatto la parte del leone nella storiografia.
A uscire da questa impasse aiuta adesso lo studio di Dario Donetti, Francesco da Sangallo e l’identità dell’architettura toscana appena pubblicato per i tipi di Officina Libraria (pp. 248, 150 ill., euro 29,00), in cui attraverso cinque densi e godibilissimi capitoli viene offerta una solida e ricca ricostruzione del percorso dello «scultore et architetto fiorentino», come Francesco prediligeva firmarsi. È la prima volta che alla sua lunga attività (morirà infatti nel febbraio 1576) è dedicata una monografia.
Il ragionamento si muove, come dichiara il titolo, attorno all’attività di architetto: al magro catalogo delle opere effettivamente realizzate si affianca lo studio dei molti disegni, conservati prevalentemente al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi. Ma già qui le novità sono di primo piano. Una delle nuove proposte avanzate è quella con cui Donetti ricostruisce l’attività per la villa di don Pedro di Toledo a Pozzuoli nel 1538, in un momento, cioè, in cui il rapporto tra Firenze e Napoli era sempre più intenso, e sarebbe culminato nel matrimonio tra il futuro Granduca Cosimo ed Eleonora, figlia per l’appunto di don Pedro. Il passaggio di Francesco da Sangallo nel Viceregno si sarebbe esplicato anche in altre opere, come la decorazione del portale di Castelcapuano o gli interventi in Sant’Anna dei Lombardi. Nel corso del testo altri esempi si aggiungono al catalogo delle architetture, eseguite o solo progettate, di Francesco. Spicca l’attribuzione del palazzo Alidosi a Castel del Rio, presso Imola, esempio dello sperimentalismo dell’architetto, in cui l’ibridazione di tipologie diverse (la fortezza e il palazzo) è resa possibile dal decentramento geografico del feudo. Uno sperimentalismo disinvolto che mescola esperienze diverse e dichiara anche il profondo rapporto con Antonio da Sangallo.
Ma anche un’altra è la novità di questo libro. Non ci si trova di fronte a una tradizionale monografia. Nel ricostruire i nodi critici delle vicende dell’artista, l’autore ha in primis dedicato i suoi sforzi allo studio dei disegni. Sono dunque i disegni che si guadagnano il proscenio e s’impongono nella scansione strutturale del volume. A partire dalle prove giovanili, negli anni in cui Francesco è a Roma con il padre Giuliano (che è al servizio del Pontefice Giulio II), passando per i progetti, gli studi e gli schizzi contenuti nel codice che il Gabinetto degli Uffizi comprò da Heinrich von Geymüller nel 1907, per giungere sino ai progetti per Santa Croce, ci viene offerto un punto d’osservazione privilegiato sulla pratica di lavoro di Francesco da Sangallo, sui suoi interessi, su come si stesse posizionando rispetto a un linguaggio, quello architettonico, che negli anni cinquanta stava rapidamente mutando.
È uno sguardo aperto a tutte le possibili interferenze, che non si rinchiude in ambiti settoriali e fa emergere così in modo sempre più ricco e sfaccettato gli interessi del protagonista. Il suo volersi porre in una ben precisa genealogia intellettuale, che assecondasse la creazione di una tradizione nazionale fiorentina e che aveva, ad esempio, in Dante uno dei suoi campioni. A Francesco si aprirono anche, nel gennaio 1545, le porte dell’Accademia fiorentina – dalla quale però fu espulso ben presto, nel 1547.
Il volume va in un certo senso letto in parallelo alla mostra dedicata a Giuliano da Sangallo che, nel 2017, lo stesso Donetti, Marzia Faietti e Sabine Frommel avevano curato agli Uffizi. Le messe a fuoco successive di alcuni nodi critici, di certe ingessature storiografiche che magari non corrispondono alla realtà delle cose, si ritrovavano anche in quella esposizione. Lo sforzo per comprendere sempre meglio e vivificare una figura come quella di Giuliano si è riverberato inevitabilmente anche sull’attività del figlio Francesco. E attraverso la dinastia dei Sangallo, sfilano anche i diversi momenti che hanno sancito il cambiamento delle botteghe e della pratica artistica, dagli artigiani di sommo specialismo a figure assai vicine agli ingegneri e agli architetti delle epoche successive. I fogli come palinsesti generazionali, come spazio d’incontro e dialogo. Una centralità, quella dei disegni d’architettura nella prassi progettuale e artistica, riconosciuta ormai da più parti, e che studiosi del calibro di Howard Burns e Caroline Elam hanno negli ultimi anni contribuito a rendere sempre più chiara. Non a caso la presentazione del volume di Donetti è firmata da Cammy Brothers, autrice di uno degli studi più importanti sui disegni d’architettura di Michelangelo che siano stati pubblicati negli ultimi anni. E il volume su Francesco da Sangallo è un nuovo tassello che si pone in questo solco di studî.
L’acribìa con cui sono scandagliati questi oggetti, siano essi fogli sciolti o interi codici, ha permesso anche di comprendere alcuni aspetti, forse più sottili ma non meno cruciali, per intendere le scelte di Francesco da Sangallo, e cioè la sua piena consapevolezza di esser parte di un’illustre famiglia, e di tramandarne discendenza e saperi. Proprio dallo studio dei disegni emerge questo dialogo in tutta la sua impressionante, fondamentale portata. Nei fogli del codice Geymüller si susseguono e si affiancano gli interventi di Antonio il Vecchio, fratello di Giuliano e zio di Francesco, e quelli di quest’ultimo. L’eccezionalità di questo codice sta proprio nel suo metterci sotto agli occhi questo dialogo. Come muti spettatori possiamo solamente sforzarci di studiarlo, di coglierne i sussurri e provare a comprenderne il linguaggio.