Chiesa cattolica e pedofilia: crimini commessi da singoli e isolati preti e religiosi oppure problema più ampio che chiama in causa l’istituzione ecclesiastica nella sua struttura? Ne abbiamo parlato con Augusto Cavadi, consulente filosofico e teologo laico, autore, qualche anno fa, del volume Non lasciate che i bambini vadano a loro. Chiesa cattolica e abusi su minori (con prefazione di Vito Mancuso, Falzea editore).

Il cardinale Pell, incriminato per gravi reati sessuali, è un prelato ai massimi vertici della gerarchia ed è stato collocato in quella posizione da papa Francesco. Queste accuse possono gettare un’ombra anche sul pontefice e sulla azione riformatrice?
Penso che un papa, nel dare incarichi ai collaboratori, non possa basarsi su voci riguardanti i pregressi lontani. Deve valutare in base a dati oggettivi o, per lo meno, attendibili. Sarebbe stato grave, piuttosto, se avesse opposto qualche ostacolo a che, ora, il cardinale si presentasse in tribunale e venisse processato come un qualsiasi cittadino. Avrebbe significato far prevalere, ancora una volta, il principio omertoso dei panni sporchi che si lavano, quando si lavano, in famiglia. Ma a quanto pare Pell risponderà alle accuse, recandosi direttamente in tribunale, in Australia. Questo è un passo avanti.

È cambiato qualcosa nella Chiesa cattolica, sulla questione pedofilia, nel passaggio da papa Wojtyla, a papa Ratzinger fino, oggi, a papa Francesco?
Distinguerei i mutamenti di percezione del fenomeno dall’effettività dello stesso. È chiaro che con Giovanni Paolo II e con Benedetto XVI, il quale da cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede gestiva la questione anche prima di diventare papa, prevaleva la preoccupazione di salvare l’immagine della Chiesa-istituzione rispetto ai diritti degli abusati. E da questo derivava una certa resistenza delle autorità ecclesiastiche nel deferire i preti denunziati all’autorità giudiziaria civile».

E con Francesco?
Papa Francesco, da buon gesuita, ha capito che l’autocritica è il metodo migliore per arginare le critiche e che una maggiore trasparenza anche sui difetti ecclesiastici è l’unico modo per evitare il disastro irreversibile. Tuttavia episodi recentissimi, come le dimissioni dalla Pontificia commissione per la tutela dei minori di due autorevoli componenti laici come Marie Collins e Peter Saunders (a loro volta abusati da preti cattolici) i quali hanno denunciato resistenze e ritardi procedurali, attestano che, come in altri settori della vita cattolica, le conversioni proclamate dall’alto stentano a incarnarsi ai livelli inferiori. Qui, come in altri ambiti, non basta che cambi un papa se, negli anni del suo governo, non riesce a cambiare il papato e l’intera macchina ecclesiastica che, purtroppo per chi condivide la fraternità annunziata da Gesù, dal papato, verticisticamente, dipende.

Perché la pedofilia clericale è una piaga così difficile da estirpare? Si tratta di errori compiuti da poche «mele marce» o c’è invece un problema strutturale che riguarda l’istituzione ecclesiastica?
Pur essendo stato violentemente attaccato da molti preti per il mio libro sulla questione pedofilia, ci tengo a ribadire, per onestà intellettuale, quello che ho scritto nelle prime pagine: la pedofilia non è statisticamente più diffusa tra preti celibi che tra i pastori protestanti sposati, insegnanti, allenatori di calcio o commessi viaggiatori. Vi sono dunque cause remote, generali e generiche, che non vanno sottovalutate. Poi ci sono delle concause specifiche legate soprattutto al mondo cattolico.

Quali?
Ne evidenzio due: il clima di morbosità che nella formazione dei preti avvolge e deforma tutta la sfera sessuale e il ruolo di padre-padrone che il prete svolge nella comunità parrocchiale. Il primo fattore influenza gli atteggiamenti perversi degli adulti, il secondo condiziona il silenzio reverente degli abusati. Se a questi due elementi aggiungiamo la quasi certezza dell’immunità dei colpevoli nel passato, anche recente, abbiamo una griglia interpretativa abbastanza chiarificatrice.