Mutualismo, antifascismo, sostegno ai Gay pride che si stanno svolgendo in tutta Italia, difesa dell’ambiente e dei beni comuni, salute mentale, cultura e scuola, immigrazione e antirazzismo, appoggio al popolo palestinese, a quello Saharawi e al Kurdistan: sono stati numerosi gli ordini del giorno votati a Pescara, a chiusura del Congresso nazionale Arci, che, per 4 giorni, ha dato vita a incontri e confronti.

I lavori dell’ultima giornata hanno portato all’elezione del Consiglio nazionale, massimo organismo rappresentativo dell’associazione, composto da 163 membri, 67 donne (41,1%) e 96 uomini (58,9%), e che, a maggioranza, ha riconfermato come presidente nazionale Francesca Chiavacci, al secondo mandato e prima donna a dirigere l’Arci. È stata rieletta anche se tra i delegati non sono mancate critiche.

«Ci aspettano quattro anni di lavoro, in cui sarà necessario che l’associazione riesca a farsi portatrice di un’idea di futuro fondata su uguaglianza e solidarietà – ha detto Chiavacci -. Sappiamo che ci aspettano mesi duri perché il nuovo governo si muove su un terreno che non contempla questi principi. Sui diritti sarà necessaria un’azione di resistenza, tornare nelle piazze e soprattutto saperle riempire. Sappiamo già che sarà ancor più necessaria la nostra azione culturale diffusa nei territori e per questo dovremo impegnarci ancora di più, per poter essere protagonisti della ricostruzione di un pensiero progressista e di sinistra».

La presidente ha poi espresso la vicinanza dell’associazione a Ilaria Cucchi: «Condividiamo la preoccupazione di Ilaria sulla grande difficoltà determinata dalla nomina di Matteo Salvini a ministro dell’Interno per il raggiungimento della verità sulla fine del fratello Stefano e dei tanti, troppi, che come lui sono morti nelle carceri del nostro Paese in circostanze e con modalità oscure».

Come è accaduto ad Aldo Bianzino, falegname di 44 anni originario di Vercelli. «È stato lasciato morire in cella… come un cane», ha sottolineato, sul palco Arci, il figlio Rudra. Lui sospetta, ma è più di un sospetto, che ad uccidere il padre, che era stato rinchiuso in prigione poche ore prima, non sia stato un’aneurisma, come è stato fatto credere. Sono state riscontrate, infatti, strane lesioni al cervello e al fegato, «avvenute contemporaneamente». La vicenda risale al 2007, quando l’uomo e sua moglie, Roberta Radici, furono arrestati per qualche pianta di cannabis nell’orto. Lui, dopo un paio di giorni, fu trovato senza vita in cella: avrebbe chiesto inutilmente aiuto ad una guardia. Avrebbe chiesto un medico, ma gli fu risposto di tacere. La moglie seppe che era deceduto perché chiese quando avrebbe potuto rivedere il marito: «Dopo l’autopsia», le venne risposto.