Gestione tossica, molestie morali istituzionalizzate e sistemiche volte a destabilizzare i dipendenti e a creare un clima ansiogeno per deteriorare le loro condizioni di lavoro. Una politica mirata ad allontanare forzatamente il personale dall’azienda che, su 39 casi analizzati, ha portato a 19 suicidi tra il 2007 e il 2008. Per queste ragioni il tribunale di Parigi ha condannato ieri l’ex amministratore delegato di France Télécom – dal 2013 Orange – Didier Lombard, l’ex braccio destro Louis-Pierre Wenès e l’ex direttore delle risorse umane Olivier Barberot a una multa di 15 mila euro e a un anno di carcere, di cui otto mesi sospesi. L’azienda è stata condannata a una multa di 75 mila euro. Il processo si è svolto dal 6 maggio all’11 luglio.

A METÀ degli anni duemila, France Télécom ha iniziato il processo di privatizzazione che doveva essere realizzato in meno di tre anni. Tra il 2008 ed il 2009 è stato avviato un piano di ristrutturazione che avrebbe dovuto tagliare un quinto del personale, oltre 22mila posti di lavoro, su circa 120 mila dipendenti. «I mezzi scelti per realizzare questi tagli erano vietati» hanno sostenuto i giudici. Il management ha fatto «pressione sulla direzione» che ha «trasmesso questa pressione» ai dipendenti mettendo in atto «un piano concertato per peggiorare le condizioni di lavoro degli agenti al fine di accelerare le loro partenze». Questa politica «ha creato un clima di ansia» che ha scandito una «marcia forzata» verso il ridimensionamento degli organici.

TRA LE LETTERE inviate dalle vittime è stata resa nota quella di un tecnico suicida di 51 anni di Marsiglia che ha accusato i suoi responsabili di «management del terrore». «France Télécom ha distrutto la sua vita e non gli ha lasciato scampo» ha detto Noémie Louvradoux, figlia di Remy che si è suicidato dandosi fuoco poco prima che compisse 18 anni. «La violenza nell’azienda si è riflessa nel processo. Gli amministratori coinvolti hanno detto di non essere responsabili di nulla, non sanno nulla. Si sentono impuniti e non hanno la minima considerazione per le vittime».

LOUVRADOUX aveva raggiunto un incarico alto a livello locale. Nel 2006 gli è stato tolto ed è stato trasferito. Nei tre anni successivi le mansioni sono state cambiate quattro volte. Prima del suicidio ha scritto una lettera ai vertici dell’azienda. Lombard ha sostenuto di non averla mai vista. Per lui, probabilmente, si era fermata all’ufficio risorse umane. Nel 2010 Lombard è stato costretto alle dimissioni. Per la Francia quell’ondata di suicidi è stato uno choc. Lombard ha negato di avere detto nel 2006 che avrebbe spinto la gente ad andarsene, o dalla porta o dalla finestra. »Le trasformazioni che un’azienda deve affrontare non sono piacevoli – ha detto nella sua deposizione – ma questo è quello che è, non c’è nulla che io avrei potuto fare». Realismo capitalista ineluttabile contro la sofferenza di chi ha dovuto testimoniare dopo il lutto. Una differenza che ha colpito Éric Beynel del sindacato Solidaires che ha seguito il processo che ha analizzato anche 12 tentativi di suicidio e 8 casi di depressione: «Penso a un testimone che ha detto di aver perso la libido – ha raccontato – a una madre che non ha avuto il coraggio di testimoniare e ha inviato una lettera letta dal suo avvocato. C’è stato un terribile squilibrio tra le vittime costrette a spogliarsi, letteralmente, e gli imputati che si nascondevano dietro numeri e parole e al loro esercito di avvocati».

IL «MANAGEMENT attraverso lo stress» è una pratica diffusa, ma il caso France Télécom è stato caratterizzato da un contesto particolare. La privatizzazione, una delle più importanti realizzate negli ultimi decenni in Francia, ha comportato un cambiamento drastico nell’organizzazione del lavoro. Il passaggio da una cultura del servizio pubblico a una logica commerciale ha portato alla mobilità forzata, alla perdita del significato del lavoro, all’incertezza che genera stress. I trasferimenti obbligati avrebbero creato un «clima terrificante» per tutti i dipendenti, compresi i dirigenti. In più la riorganizzazione non è stata effettuata in modo non trasparente. Questo è stato dovuto sia alle dimensioni del gruppo sia all’assenza di una cultura del diritto del lavoro in una società dove lo Stato francese resta il principale azionista e dove oltre il 60% dell’organico è ancora costituito da dipendenti pubblici.

LA SENTENZA è importante non tanto per le pene – il capo di imputazione di «omicidio involontario» non è stato considerato – quanto per il riconoscimento giuridico del «mobbing» senza che ci fosse un legame diretto tra gli autori e le vittime. Il «mobbing» è tema spinoso nell’organizzazione del lavoro contemporaneo. È difficile da dimostrare, anche perché spesso le vittime sono ricattate da un’organizzazione del lavoro sempre più violenta. La sentenza attesta che il mobbing non riguarda solo le relazioni interpersonali, ma può essere ispirata a una forma di razionalità collettiva. La sentenza, inoltre, ha suscitato clamore perché riguarda un colosso quotato nel principale indice della borsa francese, il Cac 40. Ed è stata considerata una svolta nel diritto penale del lavoro sulla questione delle molestie morali. La centralità della vicenda è stata confermata dall’evoluzione politica della legislazione che, in questi anni, ha visto un tentativo di erodere progressivamente gli strumenti a disposizione dei lavoratori, oltre che la loro rappresentanza. Giuristi, sindacalisti, attivisti hanno denunciato le politiche del presidente francese Macron che ha drasticamente ridimensionato il comitato per la salute, la sicurezza e le condizioni di lavoro e ha penalizzato le funzioni di controllo dell’Ispettorato del lavoro.

QUESTA È ANCHE UNA STORIA politica e culturale. Molto importante per la conoscenza del caso e la sua mediatizzazione è stato l’osservatorio sullo stress e la mobilità forzata costituito nel 2007 dai sindacati Cfe-Cgc et Sud-Ptt. L’osservatorio è stato uno strumento di contro-informazione e iniziativa militante. Ci sono state le inchieste giornalistiche «France Télécom : la Machine à broyer», di Dominique Decèze, nel 2004 e libri come «Orange stressé» di Ivan du Roy nel 2009, decisivi. Una quantità sterminata di articoli è raccolta sul sito proceslombard.fr sostenuto dal sindacato Solidaires. Ci sono i libri che hanno analizzato il lato oscuro del management contemporaneo, quello delle «risorse umane»: ad esempio Philippe Zarifian, «Le travail et la compétence : entre puissance et contrôle» e le riflessioni di uno psichiatra importante come Christophe Dejours autore, tra l’altro, di «Suicide et travail, que faire?» con Florence Begue.

DEJOURS è stato ascoltato nel corso del processo nel maggio scorso: «Non sono i pigri o i fannulloni che si uccidono sul lavoro – ha detto – Sono quelli che si impegnano e crollano quando quel lavoro, il centro della loro vita, diventa la fonte della loro sofferenza. Il suicidio sul lavoro è la punta dell’iceberg. È un indicatore della distruzione del mondo sociale.Non è una fatalità perché l’organizzazione del lavoro è fatta da decisioni umane».