L’Orso d’oro della discordia, e delle reazioni scomposte dei maschi bianchi feriti nella loro virile immagine di femministi autoproclamati che al momento opportuno invocano però l’inviolabilità dell’arte cinematografica per mettersi al riparo. Sarebbe però perpetuare un torto nei confronti del film di Adina Pintilie insistere sul rifiuto, violentissimo, di una parte della critica, maschile, insistiamo, trascurando così di evidenziarne i valori formali e politici. Risultato di una lunga fase di progettazione durata quasi sette anni, durante i quali si sono intrecciati diversi piani, da quello della documentazione, al lavoro con gli interpreti e i non professionisti. Sino all’ultimo minuto, poi, la forma da conferire al film attraverso il montaggio e le problematiche relative al missaggio audio.

«OGNUNO HA DIRITTO ad amare – Touch Me Not» è un film che non assomiglia a nulla di quanto attualmente circola nel cosiddetto cinema d’autore. Adina Pintilie osa pensare un cortocircuito fra corpo e cervello; tenta di mettere in scena i frammenti di un dialogo d’amore interrotto fra il desiderio e la sua socializzazione. Ed è proprio questo tentare di comprendere come riattivare le strategie fra l’intimità e la sua dimensione pubblica il fulcro sul quale vive il film. Intrecciando elementi scritti con una messa in scena documentaria, frontale, e altri, chiaramente documentari ma attivati al limite della finzione, Adina Pintilie è come se tematizzasse non solo l’indecidibilità della forma film contemporanea, ma l’estendesse anche alle possibilità di discorso sul corpo e la sua socializzazione.

Calato in una dimensione glaciale, addirittura ambient, dove la macchina da presa della regista seziona lo spazio con estrema precisione, il film intreccia diversi piani narrativi. Laura (Laura Benson, vista anche in Voglio tornare a casa!, Le relazioni pericolose e Prêt-a-porter) non riesce ad accettare l’idea del contatto fisico, cercando modalità alternative per soddisfare il suo desiderio. Tomas (Tómas Lemarquis, il Caliban di X-Men: Apocalisse) pedina una sua ex amante sperando di riconquistarla. Frequentando un corso di un terapeuta che lavora con persone disabili conosce Christian (Christian Bayerlein) attraverso il quale scopre una nuova dimensione della sua persona e del suo desiderio.

E poi c’è Adina ( Pintilie) che si mette in scena come sguardo e dispositivo, cortocircuitando sia la dimensione documentaria che la traccia narrativa. Questi «asintoti» non tracciano un percorso lineare, piuttosto introducono la possibilità che ogni elemento possa entrare in contatto con l’altro e modificare così il proprio statuto in relazione a essi.

Touch Me Not è un film aperto, nel quale i corpi trovano una zona temporaneamente dis-occupata dove mettere in scena il desiderio di essere invasi, riscritti, trovati o semplicemente scoperti. Adina Pintilie, con grande acume politico, dichiara infatti che è solo dalla ricollocazione del corpo, dalla sua ri-scoperta e messa in discussione, che si possono aprire nuovi spazi di incontro. Il suo film, infatti, è soprattutto la richiesta di uno scambio, la richiesta di fare incontrare la parola e il corpo. In un frangente storico nel quale l’isolazionismo sentimentale e la gestione privata della sfera del proprio desiderio provocano la caduta verticale della seduzione e della possibilità di evocare l’altro, Touch Me Not riafferma la necessità di pensare al plurale il corpo.

BANALMENTE frainteso come emissario di una non meglio chiarita vendetta del #metoo nei confronti «dei poveri maschi vittime delle donne», Touch Me Not afferma senza timori che per godere bisogna sottrarre il corpo all’isolamento del consumo teso ad atomizzare trasgressioni e desiderio. Che un proposito così radicale sia stato frainteso come una rivendicazione femminista, ignorando scientemente la sfida formale offerta dal film di Pintilie, è indice di una chiusura tanto più grave in quanto proveniente da una parte di mondo cui solitamente è associata una maggiore apertura politica.

Al film e alla sua regista, coraggiosa, testarda, generosa, va il plauso di chi ancora crede che al cinema possano essere ri-discussi gli equilibri che altrove si vorrebbero immutati. Ma, soprattutto, che per muovere le cose a volte bisogna iniziare a muovere sé stessi. Touch Me Not è senz’altro un passo un passo nella direzione giusta.