Come il mare, il deserto è un luogo che appare vuoto e uniforme solo allo sguardo di chi non lo conosce. Negli anni in cui vivevo in Mauritania, tra il 1984 e il 1986, mi è capitato più di una volta – uscendo dalla capitale, Nouakchott – di vedere persone che si muovevano a passo svelto e con aria determinata attraverso uno spazio dove, ai miei occhi, non c’era altro che una infinita distesa di dune dorate tutte uguali. Mi mancavano i punti di riferimento, quelli che abitualmente ti consentono di orientarti: un certo albero, un’insegna colorata, una costruzione inconsueta. Forse per questo l’idea che nel mezzo del Sahara, in questo paese – la Mauritania, appunto – che qualcuno ha definito (ovviamente guardandolo «da fuori») un immenso scatolone di sabbia, ci siano biblioteche dove si custodiscono volumi e documenti preziosi e antichissimi, può sembrare bizzarra, quasi assurda.

TUTTAVIA quelle biblioteche esistono, e sono oggetto, oltre che di studio, di un faticoso lavoro di cura, per evitare che proprio il deserto, che in qualche misura le ha finora preservate, finisca poi per inghiottirle per sempre. Già dal 1996 l’Unesco ha inserito le quattro città dove esse si trovano – Chinguetti, Ouadane, Tichitt, Oualata – fra gli oltre mille siti che appartengono all’umanità, alla pari di Pompei, del Machu Picchu o del Taj Mahal: un patrimonio da proteggere per chi verrà dopo di noi. E in anni più recenti diverse azioni sono state compiute, anche in Italia, proprio con questo obiettivo.
Ma la storia delle biblioteche del deserto è molto più antica e complessa, e per comprendere il loro valore è bene cominciare da un tempo lontano, quando queste città – Ouadane, Tichitt, Oualata e soprattutto Chinguetti, il settimo luogo santo dell’Islam, secondo una remota tradizione locale – erano tappe obbligate per le carovane che attraversavano il deserto collegando l’area mediterranea con l’Africa subsahariana e che qui potevano trovare non solo il ristoro necessario, ma anche un ambiente sorprendentemente vivace dal punto di vista intellettuale e sociale.

IN QUESTA STESSA REGIONE del Sahara il celebre viaggiatore arabo Ibn Battuta, vissuto nel XIV secolo, osservò con stupore nei suoi scritti che «le donne non si velano il capo anche se compiono regolarmente le preghiere» e «hanno amici e compagni estranei alla loro famiglia, così come gli uomini hanno per amiche delle donne che non sono loro familiari».

DI CHINGUETTI, «la regina dell’Adrar», si dice che fu fondata una prima volta nel 777 con il nome di Aber, «piccolo pozzo», e che già allora fosse un centro importante, che contava diverse moschee e scuole coraniche. Ma di quel periodo non è rimasta traccia. La Chinguetti di cui parliamo e che oggi viene chiamata la città vecchia (in contrapposizione alla nuova, creata dai colonizzatori francesi all’inizio del Novecento dall’altra parte dello uadi per sfuggire al progressivo insabbiamento) nacque a metà del XIII secolo: è qui, nelle viuzze strette che circondano la moschea più antica, dentro le case di pietra e di argilla color ocra disposte intorno a un patio interno, che si trovano migliaia di volumi e manoscritti spesso molto più antichi delle costruzioni che li accolgono – testi redatti su pelle di gazzella e avvolti in pelle di capra, che trattano per lo più di argomenti religiosi, ma che spaziano anche dall’astronomia alla medicina, dal diritto alla filosofia, dalla botanica ai resoconti degli interminabili viaggi dei pellegrini verso la Mecca, e che includono pure documenti privati, come un atto di matrimonio del XII secolo, il cui inchiostro nero risulta ancora miracolosamente leggibile.
Questi libri, arrivati a Chinguetti e negli altri centri storici della Mauritania a dorso di cammello insieme a mercanzie varie, tessuti e spezie, sono la testimonianza tangibile di un prolungato scambio culturale tra luoghi lontanissimi fra loro. Il volume più antico della biblioteca appartenente alla famiglia Habott, forse la maggiore della città con i suoi 1400 testi circa, è scritto su carta cinese e risale all’undicesimo secolo.

NON A CASO Sid’Ahmed Ould Habott – il cui avo Sidi Mohammed Ould Habott el-Kebir diede avvio nel corso del Settecento alla raccolta – ha scritto anni fa nell’introduzione al catalogo: «Fonte zampillante della storia del pensiero di questa parte del mondo, tesoro di manoscritti ancora in gran parte sconosciuti, questa biblioteca ha una portata universale perché accanto ai classici della scienza araba accoglie testi di sapienti venuti dall’Oriente che l’Islam ha dimenticato, o addirittura perduto. Strumenti preziosi che testimoniano la circolazione costante del sapere, di ogni sapere, nel grandioso teatro del Sahara».
Un patrimonio inestimabile e fragilissimo: con lo spostamento verso la costa delle rotte commerciali, anche per effetto della colonizzazione francese, Chinguetti e le altre città dell’interno hanno perso nel corso del ventesimo secolo la loro importanza. I mercanti nomadi che a lungo avevano trasportato i testi, acquistandoli, commissionandoli, scambiandoli, hanno smesso da decenni di arricchire le loro biblioteche, che sono rimaste così confinate in luoghi sempre più inaccessibili, assediate dall’avanzata delle dune in seguito alle siccità ricorrenti.
La scelta di conferire alle antiche città mauritane lo statuto di «patrimonio dell’umanità» si inserisce in questo contesto. Ma il progetto dell’Unesco – costruire a Chinguetti un’unica biblioteca realizzata secondo moderni criteri di efficienza dove far confluire i volumi di tutte le raccolte della città e magari anche degli altri centri antichi della Mauritania – ha dovuto «arrendersi davanti al più insormontabile degli ostacoli: le varie famiglie rifiutavano di cedere i loro libri. Li volevano in casa propria, non nella biblioteca comune», come ha spiegato nel 2012 in un’intervista Ginevra Bompiani che, insieme a Laura Alunno, della Ong Terre solidali, e all’arabista Carmela Baffioni, ha preso a cuore la sorte delle biblioteche del deserto.

CONSIDERANDO che la Mauritania – dove, per inciso, la schiavitù è stata abolita per legge solo nel 1980 – è un paese in cui la divisione per clan tribali e la struttura per caste è ancora molto evidente, l’ostilità di fronte a un progetto «centralizzatore» non sarebbe stata forse imprevedibile. Sta di fatto che, grazie anche all’interessamento di Alunno, Baffioni e Bompiani, è stato possibile restaurare, sistemare e catalogare la biblioteca Habott (il catalogo, bilingue arabo-francese, lo ha stampato Nottetempo). Quanto alle altre, ormai ridotte a poche unità, dalle oltre trenta che erano a inizio secolo, attendono un intervento che garantisca l’indipendenza di ciascuna, nella speranza che il flusso turistico per Chinguetti – già normalmente scarso – non si esaurisca del tutto.
Ma la ministra mauritana della cultura Vatma Vall Mint Souleinie non sembra scoraggiata e qualche mese fa ha indicato la sua intenzione di avviare un programma di promozione del patrimonio storico e naturale delle quattro città antiche e contemporaneamente un piano urbanistico che ne preservi l’autenticità. Resta da vedere se i suoi progetti troveranno forma e solidità prima che le biblioteche del deserto siano scomparse.

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Scheda: La terra dei poeti, dai griots a oggi

Mauritania, terra dei mille poeti, si dice pensando alla ricchissima tradizione orale dei griots, una tradizione cui fa riferimento anche Mariem Mint Derwich in questa poesia contemporanea :
«Dove sono i miei / di cui sento ormai solo voci lontane? / Dove sono i miei? / Sono nel fianco delle piroghe / nella traccia sulla sabbia / nel volo silenzioso di un uccello / nell’albo che sbianca la porta della notte? / Dove sono i miei / i miei radici / i miei case / Dove sono i miei di qui / i miei d’altrove? / Li seguo, dito esitante, / sollevo le pietre / sprofondo in fondo al mare / entro negli alberi / chiedo agli animali. / I miei sono fantasmi / mormorano in me / ma non so dove trovarli. / Ho solo una valigia / in lei dormono tutti i segreti / i segreti miei / e il mio atto di nascita / e un passaporto consumato dagli aeroporti. / Dove sono i miei? / Non lo so, non lo so più. / Dove sono i miei? / Mi stendo nella valigia / e imparo a memoria il numero del sedile, / davanti a me sta scritto “Vietato…”. / Dove sono i miei? / Laggiù laggiù, sulla terra perduta».
Da «Anthologie des femmes poètes du monde arabe» (Le Temps des Cerises, 2019)