Un cumulo di detriti dove, appena il giorno prima, c’erano due case di mattoni grigi con i tetti di lamiera. Sono apparse ridotte così ai soccorritori le abitazioni centrate dai quattro missili sganciati da un jet israeliano in cui vivevano le famiglie dei fratelli Sawarkah. Da sotto quei detriti nel campo profughi di Deir al Balah, tra le urla di disperazione di parenti e vicini, i soccorritori hanno estratto i cadaveri di otto persone rimaste uccise nell’attacco scattato mezz’ora dopo la mezzanotte di mercoledì. Qualche ora prima che venisse annunciato il cessate il fuoco tra Israele e il Jihad islami al termine di due giorni di pesanti bombardamenti su Gaza e lanci di razzi su Israele. Corpi straziati e ricoperti di polvere, tra cui quelli di due donne, Mariam e Yusra, di 43 e 45 anni, e di due bambini di 2 e 3 anni, Firas e Salem.

 

Quelli scampati alla morte ieri rispondevano a fatica alle domande dei giornalisti locali. «Dormivo quando la casa è stata bombardata, mi sono svegliato terrorizzato e tutto intorno a me era rosso, non riuscivo a vedere nulla», ha raccontato Diyaa al Sawarka, 11 anni, al giornale online Middle East Eye. «Ho provato a scappare – ha aggiunto – ma un piede era bloccato sotto le macerie. Ho urlato ma nessuno mi ha sentito, tutta la mia famiglia era sotto le macerie. Stavo cercando di tirare fuori il piede quando ho trovato il mio fratellino che lottava per liberarsi dai detriti. L’ho aiutato, poi ho tirato fuori il piede e mi sono precipitato fuori dietro di lui». Diyaa ha saputo diverse ore dopo di aver perso suo padre e alcuni cugini.

 

«Erano civili innocenti» ripetono i palestinesi. Per Israele invece un capofamiglia, Rasmi Sawarkah, anch’egli rimasto ucciso, era un ufficiale del Jihad responsabile dei lanci di razzi dalla zona centrale della Striscia di Gaza. Ma per Ramy Abdu, presidente dell’Euro-Mediterranean Human Rights Monitor, «anche se Israele spiega l’attacco sostenendo che ha colpito un membro del Jihad islami, questa non è e non può mai essere la giustificazione per colpire due case con decine di civili, compresi bambini e donne». Per il premier israeliano invece tutto è andato secondo i piani. Gli «obiettivi» dell’operazione “Cintura nera” a Gaza – cominciata con l’assassinio mirato del comandante militare del Jihad, Bahaa Abu al Atta – «sono stati raggiunti in pieno», ha detto ieri Netanyahu visitando il Centro di controllo dell’Iron Dome, il sistema israeliano di difesa anti-razzi. «Lo scopo dell’operazione – ha aggiunto – era quello di colpire un comandante del Jihad. È stato eliminato insieme a dozzine di terroristi e infrastrutture importanti della Jihad. I nostri nemici hanno avuto il messaggio: possiamo raggiungere chiunque». Frasi simili sono state pronunciate dal neo ministro della difesa Naftali Bennett.

 

La soddisfazione dei leader israeliani è ampiamente giustificata. Dagli Stati uniti e dall’Europa sono giunti proclami, di ogni colore politico, al «diritto a difendersi» dello Stato ebraico «dai lanci di razzi» e dalla «minaccia terroristica». Nessuno o quasi ha considerato che ad innescare l’escalation è stata l’uccisione di Abu Al Atta (e di sua moglie). E mentre facevano il giro del mondo le immagini dei civili israeliani – una cinquantina sono rimasti feriti secondo i comunicati ufficiali – che correvano verso i rifugi sotto la minaccia dei razzi lanciati da Gaza, i media occidentali, i giornali come le televisioni, hanno dedicato un’attenzione decisamente più limitata ai 34 palestinesi uccisi. Il Centro per i diritti umani di Gaza afferma che 14 degli uccisi erano civili, tra i quali tre donne e otto ragazzi e bambini. E dei 109 feriti, alcuni molto gravi, 46 non erano combattenti.

 

Il cessate il fuoco, scattato ieri alle 4.30 italiane con la mediazione egiziana, rappresenta un indubbio successo per Israele, malgrado le dichiarazioni del Jihad su presunte concessioni fatte dal governo Netanyahu, come la sospensione degli omicidi mirati di palestinesi (da Tel Aviv non arrivano conferme). Ma non è detto che la tregua duri a lungo. I lanci sporadici di razzi da Gaza avvenuti ieri poco l’annuncio della tregua e poi nel pomeriggio, sono la spia del forte malumore che regna tra le varie formazioni politiche e militari palestinesi nella Striscia e nella stessa Jihad. Ieri sera a Jabaliya decine di militanti del Jihad e dei Comitati di resistenza popolare hanno manifestato contro il leader Ziad Nakhala che al Cairo avrebbe accettato troppo in fretta i termini del cessate il fuoco dettati dagli egiziani. Altri si dicono «senza parole» per la decisione, sottolineata più volte da Israele, presa dai leader di Hamas, che controlla Gaza, di non partecipare alla risposta del Jihad per l’assassinio di Abu al Atta. Una frattura che certo non dispiace a Israele.